“L’ingegnere del silenzio”: intervista a Marco Onofrio per i 20 anni del suo itinerario poetico

“L’ingegnere del silenzio”: intervista a Marco Onofrio per i 20 anni del suo itinerario poetico

13/02/2024 0 Di Marco Montini

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Mar­co Onofrio ha da poco pub­bli­ca­to il suo libro numero 42: “L’ingegnere del silen­zio. Antolo­gia dell’Opera in ver­si (2002–2022) con Appen­dice di inedi­ti”. Il libro è usci­to in Cal­abria, a Pal­mi (RC), per i tipi di Pace Edi­zioni, nuo­va e val­i­da realtà del panora­ma edi­to­ri­ale ital­iano. Il noto e pluripremi­a­to autore, nato a Roma e castel­lano d’adozione, ha sen­ti­to l’esigenza di rac­cogliere un “the best” trat­to dai 14 volu­mi di poe­sia fino­ra pub­bli­cati. Il vol­ume, godi­bile e dal­la ele­gante veste grafi­ca, con­s­ta di ben 134 com­po­sizioni che toc­cano o sfio­ra­no corde di emozioni uni­ver­sali come l’amore, la soli­tu­dine, il dolore, la mal­in­co­nia, l’angoscia, la rab­bia, la gioia, la sper­an­za, ecc. La poe­sia di Mar­co Onofrio ha soprat­tut­to una nota ele­gia­ca fon­da­men­tale, come ben ril­e­va il Prof. Plinio Per­il­li nel­la dot­ta e bel­lis­si­ma Pre­fazione, in realtà un sag­gio criti­co di ben 43 pagine che si potreb­bero pub­bli­care a parte: Onofrio sente con strug­g­i­men­to la fine delle cose, e intorno a questo asse orga­niz­za le esplo­razioni metafisiche dell’invisibile, nel vuo­to e nel silen­zio, a cui tende con il suo sguar­do che oltrepas­sa l’apparenza delle cose. Lo abbi­amo incon­tra­to a Grotta­fer­ra­ta (dove ora è tor­na­to a vivere, dopo 17 anni trascor­si a Mari­no) per riv­ol­ger­gli qualche doman­da.        

Allo­ra, Mar­co, come si col­lo­ca questo libro nel­la tua lun­ga pro­duzione poet­i­ca?

“In una posizione deci­si­va e riepi­log­a­ti­va, per la sua stes­sa natu­ra anto­log­i­ca. È la mia quindices­i­ma rac­col­ta di com­po­sizioni poet­iche, nata per cel­e­brare vent’anni di itin­er­ario tra i ver­si e per rac­cogliere ciò che ho ritenu­to migliore o, per meglio dire, più rap­p­re­sen­ta­ti­vo”.

Quali cri­teri hai adot­ta­to per la selezione delle poe­sie?

“A dif­feren­za del­la prece­dente antolo­gia con inedi­ti, dal tito­lo “La nos­tal­gia dell’infinito”, del 2016, che era orga­niz­za­ta per sequen­ze tem­atiche, ques­ta prevede un cri­te­rio crono­logi­co, che cioè segue l’uscita dei lib­ri nel­la loro suc­ces­sione: da “Squar­ci d’eliso” (2002) ad “Azzur­ro esiguo” (2021). In questo modo è pos­si­bile cogliere l’evoluzione dei temi e del­lo stile nel cor­so degli anni”.  

Per­ché questo tito­lo? Chi è l’Ingegnere del silen­zio?

“È impos­si­bile rispon­dere in modo uni­vo­co a ques­ta doman­da, poiché il tito­lo con­tem­pla un numero poten­zial­mente illim­i­ta­to d’interpretazioni. Ne pro­pon­go tre. L’ingegnere del silen­zio è Dio, che ha nascos­to le chi­avi del­la creazione nel­la creazione stes­sa e che risponde spes­so con il silen­zio alle nos­tre domande. Oppure è il poeta, che lavo­ra con il silen­zio per costru­ire pon­ti e tor­ri di parole (sen­za il con­trol­lo del silen­zio non esistono né poe­sia, né musi­ca). Oppure, infine, è il nos­tro cuore, che rac­chi­ude nel silen­zio delle emozioni e nel­lo spazio inte­ri­ore dell’invisibile tut­ta la cenere delle espe­rien­ze che affron­ti­amo e supe­ri­amo nel vis­su­to. In ogni caso, ho scel­to questo tito­lo per­ché focal­iz­za due ele­men­ti fon­da­men­tali del­la mia poe­sia: la com­po­nente razionale, cioè la volon­tà di estrarre un sen­so pro­fon­do dalle cose sot­to­po­nen­dole alla pro­va del pen­siero, dell’indagine, del­la ricer­ca con­tin­ua; e il silen­zio, che rap­p­re­sen­ta tut­to il mis­tero squader­na­to dinanzi ai nos­tri occhi, cioè l’infinito nel quale siamo immer­si, oltre che una delle parole più ricor­ren­ti nelle mie com­po­sizioni”.  

Come reagis­cono i let­tori delle tue poe­sie, appun­to leggen­dole o ascoltan­dole durante i read­ing?

“Nei modi più diver­si, ma spes­so emozio­nan­dosi. Ho vis­to per­sone com­muover­si fino alle lacrime. La mia poe­sia ha una vocazione metafisi­ca, tende al sub­lime e per­ciò sol­lecita mem­o­rie ances­trali che veicolano emozioni pro­fonde. Non sono un min­i­mal­ista del­la cronaca: sec­on­do me la paro­la poet­i­ca deve par­lare alla nos­tra eter­nità”.

Che cosa può dirci del nuo­vo libro antic­i­pa­to dagli inedi­ti di ques­ta antolo­gia?

“Uscirà tra non molto, in pri­mav­era, per i tipi di Pas­sigli, il pres­ti­gioso edi­tore fiorenti­no. Si inti­to­la “Luce del tem­po”, rac­coglie 73 com­po­sizioni e rap­p­re­sen­ta non solo il com­ple­ta­men­to del­la “trilo­gia del vuo­to” – se così è pos­si­bile chia­mar­la – da me inau­gu­ra­ta nel 2019 con “Anato­mia del vuo­to”, ma anche e soprat­tut­to la mat­u­razione defin­i­ti­va degli esi­ti rag­giun­ti da “Azzur­ro esiguo”, il libro medi­ano fra i tre, usci­to, sem­pre con Pas­sigli, il giorno del mio cinquan­tes­i­mo com­plean­no, l’11 feb­braio 2021. “Luce del tem­po” è la definizione cos­mi­ca dell’attimo che sgrana l’esistenza dal mono­lite dell’eternità. Siamo in realtà noi la “luce del tem­po”: una breve fos­forescen­za tra due abis­si di tene­bra. Così infat­ti scrive Louis-Fer­di­nand Céline, da me cita­to nel colophon del libro: “La vita è questo, una scheg­gia di luce che finisce nel­la notte”. La citazione è trat­ta dal roman­zo cap­ola­voro “Viag­gio al ter­mine del­la notte” (1932)”.

 

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