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Marino. Sagra dell’Uva e non solo: lettera aperta di Maurizio Aversa
23/01/2024Questo articolo è stato letto 2748 volte!
Il 21 ottobre, quindi ben oltre la prima domenica d’ottobre, quella che diventerà un “rotocalco popolare, La Domenica del Corriere”, era in distribuzione periodica solo come allegato allo storico quotidiano nazionale, appunto il Corriere della sera. Ebbene quel numero 43, riportava in prima pagina intera una foto notizia sulla Sagra dell’Uva di Marino. Oggi, nel centenario dell’idea ciprelliana, non si sta avendo ancora un buon approccio al valore, quindi non solo al timbrare il numero cento, alla possibilità che tale strumento possa incidere di qui in avanti per la città, per i suoi cittadini. Tanto per semplificare: si con la cultura, con la storia, e, a caduto, con gli ammennicoli economici, si campa!
Mettiamo in fila qualche notizia: come riportato dal web, tra i “naviganti” stranieri che cercano di assumere notizie – si presume turistiche o ai fini delle eccellenze locali – sull’area dei nostri amati Castelli Romani, la località più ricercata è Castelgandolfo. A seguire, Frascati, Marino e Nemi. Pensiamo al lavoro che svolgono, istituzionalmente e/o secondo forme di volontariato organizzato che coinvolge il Terzo settore e gli enti locali con annessi operatori economici, il Sistema Castelli Romani (il cui cuore pulsante è stato da sempre il sistema delle biblioteche, e quindi la cultura), o gli organismi sovranazionali, nazionali e locali della Via Francigena (opera incessantemente da noi il Gruppo dei Dodici per la Francigena del sud), nonché la trama di iniziative che ruotano attorno alla prestigiosa Associazione delle Città del Vino: sono tutti questi, non sempre in prima pagina o in vetrina, gli interlocutori che motivano certe scelte di ricerca, quelle che spingono a curiosità gli stranieri e non solo, sul web e non solo. Ovviamente concorrono a tutto ciò, non ne sono gli unici protagonisti: ma ad essi va comunque tutto il nostro plauso.
La nostra società, come quella europea al pari dell’occidente capitalista, è bloccata. Il mercato è un modello fallito che procura solo guai, se non tragedie. Lo tocchiamo con mano con le politiche belliciste volte a guidare, se non dominare il mondo, perché dalla nostra storia e cultura pensiamo (il capitalismo malato pensa) che ne derivi solo quella opzione. Errato! L’evoluzione della storia e l’immissione dell’idea comunista – per taluni il completamento del messaggio “socialista” ante-litteram di Gesù Nazareno – con Marx e l’esplosione sulla scena della classe operaia organizzata e delle rivoluzioni, sia quelle di liberazione e sia quelle sociali, sono lì a dimostrare che – al netto di errori e non ripetibilità copia/incolla nelle varie realtà – quella spinta e quelle idee possono aiutare a comprendere che per organizzare la società degli esseri umani non c’è solo mercato, non ci sono solo rapine da attivare nei confronti dei deboli (singoli, classi, popoli, Stati), ma c’è un altro modo di poter convivere. Ad esempio, per dire cose concrete, la proposizione della Via della Seta che prevede collaborazioni e aiuti, e non mira a “dominare”. Così come, nella pratica internazionale, al di là delle differenze che ci sono, ma coesistono, nella proposta dei vari Stati (per essere chiari: quelli che cumulano il 75% della popolazione mondiale) che NON vogliono un mondo unipolare (a guida USA e NATO e chi a loro si piega per timori o convenienze), ma propongono un mondo “multipolare” con varie sfere di influenza: economica, culturale, politica. All’interno degli strumenti dati nel 2024, cioè la rivoluzione tecnologica che può aiutare a scegliere cosa produrre (per utilità, per sfamare, per difendere l’ambiente, ecc.) e come produrlo, anche senza necessariamente sfruttare lavoratori, addetti, ecc., ci si può indirizzare nella scelta di lavorare meno per lavorare tutti, e rendere bastevole la produzione dei beni per vivere. La conclusione di ciò è che in tal modo resta disponibile il tempo di vita che ogni singolo può scegliere: per la cultura, per lo sport, per l’arte da coltivare o godere, per il piacere della cura della persona (sia se stessi, sia altra persona cara). Bene, e quindi?
Quindi in tale visione che è possibile perseguimento (io la chiamo società socialista, altri società umanitaria, altri in altro modo… ma questo non è un problema) di una società diversa da quella attuale, chi svolge attivamente, con le varie motivazioni che lo innescano, una qualsiasi delle azioni di cui dicevo all’inizio – la cultura, la ricerca, le proposte della conoscenza e delle eccellenze del nostro territorio, così come di altri in altre parti del mondo – secondo me contribuisce ampiamente a cambiare lo stato delle cose. Al pari – anche se io affermo, non per fare graduatorie, che la prima resta la spinta rivoluzionaria – di tutte le lotte per la pace, per la libertà dei popoli, per l’uguaglianza, per la giustizia contro lo sfruttamento ecc. In tal senso, anche difendere il rispetto di tradizioni e strumenti che sono stati e sono utili – pure al di là della motivazione originale da cui sono scaturite – per riproporre la qualità, di storia e di cultura, e la conoscenza di comunità e di produzioni, è una azione da non ritenere secondaria. Per questo, continuando con la fila delle notizie: è quest’anno che ricorre il centenario della Sagra dell’Uva. Un Comitato, abbiamo letto, ha attivato una qualche forma di attenzione al tema. Gli ideatori di un Premio Letterario Nazionale (di cui è presidente onorario Vittorio Nocenzi) intitolato a Moby Dick, hanno da tempo (in particolare uno su tutti, lo scrittore Marco Onofrio) espresso in ogni luogo di cultura o di politica, che la “Sagra dell’Uva” non dev’essere un “evento” ma un “programma permanente” di dodici mesi con tanti capitoli al proprio interno: con il clou, naturalmente, della prima settimana di ottobre e delle fontane che danno vino. Ecco, se ci scrolliamo di dosso un certo guardare l’ombelico nostro, forse possiamo comprendere davvero come la qualità della proposta non di un programma, non di una ricorrenza, ma di una possibilità qualitativa culturale, tradizionale, sociale e perfino economica, può agevolmente essere condivisa da moltissimi, se non da tutti. Riferito ai cittadini – in primo luogo operatori politici, culturali ed economici – locali, ma non solo. Detto in altro modo: nel passato, dove probabilmente c’era maggiore possibilità di intervento culturale plurale e disponibilità economica per il ruolo che svolgevano gli enti locali, c’è sempre stata una “deliziosa” concorrenza a paragonare le edizioni della Sagra. Ma per superarsi in meglio, non per sbeffeggiare la precedente!
Per questo ben si comprendono, e sono perfino condivisibili nella loro spinta motivazionale, le prese di posizione di Forza Italia e del PSI a Marino circa le dure critiche per la decisione di incaricare un direttore artistico – alias manager – per la Sagra dell’Uva.
Ora si sottolinea in particolare che viene proposto un non marinese, ed è un punto opinabile. In ogni caso è molto, molto, molto errato interpretare, al pari di quanto, in qualche modo, è stato già fatto nel recente passato, la proposizione/gestione della Sagra dell’Uva, ovvero il suo centenario, come fosse un festival della canzone. Marino non è Sanremo! Detto altrimenti: le esperienze svolte con le esposizioni artigianali, artistiche, culturali, con la proposizione dell’Ente Sagra di Giulio Santarelli; o le riproposizioni delle stesse con la Sagra-scandalo proposta con un mese di attività culturali e undici associazioni culturali giovanili a gestire direttamente programmi e borsa con avanzo di cassa destinato trasparentemente alle associazioni stesse, con la presidenza onoraria della Sagra a Nanni Loy a titolo gratuito e con la presenza attiva del regista a Marino; o, ancora, le esperienze della valorizzazione delle botteghe e delle osterie per l’azione messa in campo da Giselda Rosati… sono state tutte con un timbro “riconoscibile”: dare alla città rispetto delle tradizioni, riconoscimento degli organismi come associazioni e ProLoco (quella pesante a trazione Sandro Caracci), sbocco a notorietà ai fini turistici e di “ricadute economiche”.
Certo ben visibili nel caso del Gotto d’Oro, ma non solo. Ora il salto, che ancora non c’è stato (ecco il perché di questo intervento), è il non fermarsi al programma della Sagra; non fermarsi all’anno del centenario; è, proprio come suggerisce Marco Onofrio: svolgere la Sagra dell’Uva in attività annuale, per tutti gli anni a venire. Un marchio di contenuto, sul territorio, non solo un “mordi e fuggi” di un giorno, di una settimana, o di un periodo un po’ più lungo per il centenario. E come suggerisce un uomo di cultura, oltre che stimato politico locale, Fabio Mestici: con energie che sono se non necessariamente marinesi di sette generazioni, comunque marinesi di residenza e/o frequentazione assidua. Che avrebbe detto o scritto Leone Ciprelli di tutto ciò? Non lo so e non voglio forzare la mano, ma le scelte di oggi sono nelle nostre mani e mi permetto di dire al Sindaco e alla Giunta comunale che nelle loro mani, in cui si concentra l’aspetto decisionale, ci sono sia l’opportunità della “gestione” di questa storica occasione, ma anche la soverchia responsabilità di tenere in dovuto conto le sensibilità di tutta la pluralità della cultura marinese, così come del macigno di responsabilità ulteriore per quanto vorranno tracciare per le generazioni che verranno circa questo magnifico aspetto socio-politico-culturale. Resta il quesito: ci sono sensibilità, capacità e volontà di scelta per tutto ciò? Sarà presto verificabile.
Maurizio Aversa è attualmente componente del Comitato Centrale (PCI nazionale), membro della Segreteria regionale (PCI Lazio), coordinatore del PCI Castelli romani. È stato: Assessore alla Cultura e attività produttive del comune di Marino (sindaci Mario Mercuri e Leonardo Massa), Assessore alla cultura ed educazione ambientale del Parco dei Castelli romani (presidente Aldo Settimi), capogruppo PCI al comune di Marino (sindaco Lorenzo Ciocci) e alla Usl Marino Ciampino, oltre che segretario cittadino PCI a Marino.
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Un operatore dell’informazione. Un attivista culturale impegnato a diffondere le buone pratiche che aumentano ed estendono la fruizione del miglior bene immateriale di cui l’umanità dispone: il sapere, la conoscenza, la cultura. Questo il mio intimo a cui mi ispiro e la mia veste “giornalistica”. Professionalmente provengo da esperienze “strutturate” come sono gli Uffici Stampa pesanti: La Lega delle Cooperative, Botteghe Oscure. Ma anche esperienze di primo impatto: Italia Radio; e il mondo delle Rassegne Stampa cooperativa DIRE, Diretel, Rastel, Telpress. Per la carta stampata oltre una esperienza “in proprio” come direttore scientifico della rivista “Vini del Lazio”, ho collaborato con Paese Sera, con L’Unità, con Oggi Castelli.