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L’OPINIONE. IL COLPEVOLE FLOP A DON BOSCO di Maurizio Aversa
14/11/2013Questo articolo è stato letto 9273 volte!
L’OPINIONE. IL COLPEVOLE FLOP A DON BOSCO di Maurizio Aversa
Commento, dopo il Flop della grande manifestazione che doveva svolgersi a Piazza Don Bosco di tutti i Movimenti antidiscarica sabato 9 novembre. In fondo all’articolo c’è il link per leggere il testo “ufficioso” di Alessandro Lepidini portavoce dei movimenti contro le discariche.
Con sicuro armamentario di parole d’ordine garibaldine e di idee disordinate, un Coordinamento ambientalista – rivelatosi autoreferenziale e non sostenuto da consenso vasto – ha cercato di dare una propria lettura sociale e politica di quanto accade da tempo sul territorio castellano, romano, laziale e nazionale. Questa lettura, che è divenuta labile piattaforma generale, pur partendo da sicura piattaforma programmatica specifica, ha fatto sì che alcuni indirizzi della lotta di centinaia e migliaia di cittadini, ricevessero una “torsione” nella esplicitazione semplice di cui sono dotati quasi sempre i movimenti di lotta. Ad una piattaforma specifica, si dà una organizzazione minima di rappresentanza ed essa in modo per lo più diretto verifica e comunica i punti della piattaforma che sono accolti e in che grado; quelli che vengono proposti come mediazioni eventuali; quelli che non vengono accolti. Nel fare ciò, è ovvio che un sano movimento non si dota di una struttura di comando. Che non è necessariamente un direttivo o un segretario. Anzi spesso è la dicitura “decide chi c’è. Ci vediamo all’ora x del giorno y”. Se l’assemblea deliberante è composta da migliaia o centinaia e centinaia, sarà difficile che – proprio perché movimento – possa deliberare con approfondimento subitaneo. Al contrario lo può fare una assemblea convocata allo scopo, ma quasi sempre partecipata da poche decine (magari pure sempre le stesse persone). Questo meccanismo, poiché genera una non rispondenza, spesso, tra il quadro di riferimento generale della piattaforma del movimento, e quanto può essere approfondito in poche decine; può dare vita a due fenomeni:
1. Che ci sia un comune sentire; una consapevolezza diffusa; una fiducia estesa; tali che quando ci saranno indicazioni, proposte di elaborazione più corposa o di mobilitazioni di testimonianza sociale e politica tutto sarà condiviso e si riproporrà il sostegno al comune progetto rivendicativo.
2. Che questo comune sentire non ci sia; e che, indipendentemente dalla buona volontà, dalla ottima qualità, dalla indicazione più aderente alle soluzioni comunemente sollecitate; tutto il sostegno non si manifesti; non venga colto il messaggio e il contenuto indicato venga non più condiviso.
Ecco, a leggere le motivazioni di Alessandro Lepidini, portavoce del movimento che ha fatto in modo che fosse composto la lotta spezzettata della discarica di Roncigliano, della discarica Falcognana-Divino Amore, e di quella di Cupinoro, della necessità che queste lotte fossero riunificate sotto l’egida di una “Primavera di Roma”, sembra proprio di assistere ad una banale lezione leniniana sull’estremismo. Ma non nata o suscitata ideologicamente, no. Nata per errore madornale nel non essere stati capaci di “leggere” quanto stava accadendo nelle singole lotte. Quanto stavano perseguendo (al di là dello specifico se giusto o errato per pigrizia sociale, per insufficienza politica, o altro) quelle rivendicazioni, seppur presenti con un segno temporale, non erano e non sono frutto di un vasto movimento radicato (sia esso organizzato o d’opinione). E, appunto, se si sbaglia, dall’inizio questo tipo di analisi, poi ci si ritrova a fare i conti – sconsolati o avanguardisti non richiesti – con il flop della “madre di tutte le assemblee” che doveva essere l’iniziativa di piazza Don Bosco.
La questione più seria ora all’ordine del giorno è: come tutelare le piattaforme sostenute dalle lotte. Questo significa, non accettare un ripiegamento a riccio che viene proposto da Lepidini. “Non ci avete dato retta, ora estremizzeremo la lotta e moriremo qui”, sembra il messaggio “politico” proposto nella riflessione a caldo sul flop di Piazza Don Bosco. Nulla di più deleterio. Nulla di più antidemocratico. Se davvero, come richiamato nell’appello contenuto nel messaggio dopo il 9 novembre, la priorità e non farsi scavalcare da forme antidemocratiche, ma attuare la democrazia come primo punto di unità delle forze che condividono la piattaforma; allora va fatta la scelta più consona, più coerente, con questo sviluppo. Ad esempio, può essere messo in discussione che il movimento spezzettato preesistente, se non lo sceglie col consenso al seguito – di migliaia e migliaia di sostenitori – non è affatto vero che debba “essere forzato” a divenire “soggetto unico”. A quale scopo poi, soggetto unico? Per un salto politico? Che, — e qui c’è una gravissima pecca di sottovalutazione e di analisi non detta -, magari, siccome va di moda, sparge a piene mani qualunquismo antipartiti (so tutti uguali, nessuno decide, facciamo da soli…ecc) eppoi alla fine ci ritroviamo con una “lista in più in qualche comune o regione in cui si dovrà votare”. Ecco, risolvere la questione seria delle piattaforme sostenute dalle lotte, vuol dire esattamente il contrario del perseguimento o dello scivolamento dei movimenti antidiscarica verso un qualsiasi approdo di listina. Per essere chiari: ci può anche essere un soggetto terzo, che si propone come “lista della discarica contro…ecc”, ma dovrebbe essere, dovrà essere, all’interno del movimento ammessa e partecipe come altre forze politiche e sociali e associazioni ecc. In tal modo prevarranno i contenuti e non le bandierine. In tal modo ci sarà unità condivisa tra soggetti diversi e non strumentalizzazioni. Ora il flop è insieme un allarme, e una indicazione di cambiare strada ( ma nel senso opposto alla indicazione di Lepidini) a meno che non si voglia far morire il consenso, la continuazione delle lotte e della verifica delle piattaforme con la controparte istituzionale, Ma soprattutto, questo flop non deve segnare la sconfitta del movimento che ha avuto vita fin qui. La responsabilità della fuga in avanti di chi ha scelto la parola d’ordine, il contenuto, la modalità e la forzatura di piazza Don Bosco; deve terminare con una vera e propria assunzione autocritica di responsabilità e una continuazione della difesa delle piattaforme per raggiungere l’ottenimento delle richieste ricercando il massimo consenso possibile a base locale. Dire no a tutto ciò, come testimoniano voci – che abbiamo ascoltato – in dissenso rispetto a questo percorso che ha oggettivamente fallito, espone il movimento stesso ad un punto di non ritorno unilaterale, che butta a mare il principale punto di vista di migliaia di cittadini (e il loro consenso) e la pratica indicata della democrazia e ell’unità.
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