Quando muore un cittadino

Quando muore un cittadino

23/01/2025 0 Di Marco Brancaccia

Que­sto arti­co­lo è sta­to let­to 163 vol­te!

Fare il gior­na­li­sta e occu­par­si per tan­ti anni di cro­na­ca loca­le, lavo­ran­do a stret­to con­tat­to con i comu­ni, ine­vi­ta­bil­men­te ti por­ta a cono­sce­re mol­ti ammi­ni­stra­to­ri.
All’inizio, soprat­tut­to da gio­va­ne, ten­di a per­ce­pi­re i sin­da­ci come figu­re qua­si sovran­na­tu­ra­li, per­so­ne al di sopra di tut­to. Poi, poco alla vol­ta, entri in que­gli uffi­ci pie­ni di car­te e tar­ghe, e ti tro­vi davan­ti qual­cu­no che for­se non ti acco­glie con un sor­ri­so – non ti cono­sce, e tu non cono­sci lui. Maga­ri sei lì per un’intervista su qual­co­sa di spi­no­so, e lui “c’ha da fa”.

Con il tem­po, ho avu­to la for­tu­na di cono­scer­ne mol­ti, di sin­da­ci e ammi­ni­stra­to­ri loca­li, e ho capi­to che die­tro quel­le scri­va­nie pie­ne di car­te ci sono per­so­ne. Sedu­ti su quel­la sedia non ci sono enti­tà sovran­na­tu­ra­li, ma cit­ta­di­ni.
E più pas­sa il tem­po, più ti ren­di con­to che fare il sin­da­co è un ruo­lo che non si augu­ra a nes­su­no. C’è anche un pro­ver­bio che tut­ti i sin­da­ci cono­sco­no “Se hai un nemi­co, fal­lo sin­da­co”.  
Ti accor­gi del­la gigan­te­sca com­ples­si­tà di un ruo­lo che non ti pone “sopra gli altri”, ma “al ser­vi­zio degli altri”. E que­sto ser­vi­zio non ha ora­ri: non è dal­le 9 alle 17, dal lune­dì al vener­dì. È un impe­gno che dura 24 ore al gior­no, set­te gior­ni su set­te, per tut­to il tem­po del man­da­to. Feste com­pre­se.

Quan­do ieri è arri­va­ta la noti­zia del­la mor­te di Dome­ni­co Petri­ni, il sin­da­co di Subia­co, la pri­ma cosa che ho pen­sa­to, dopo lo sgo­men­to per la per­di­ta di una per­so­na così gio­va­ne, è sta­ta che pro­ba­bil­men­te se ne fos­se anda­to – come poi è sta­to – men­tre era in Muni­ci­pio. Per­ché esse­re sin­da­co signi­fi­ca que­sto: vive­re nel Muni­ci­pio, in quel­lo che i fran­ce­si chia­ma­no Hôtel de vil­le, let­te­ral­men­te “il luo­go del­la cit­tà”.

Cono­sce­vo poco il Sin­da­co Petri­ni. Un salu­to, qual­che incon­tro di sfug­gi­ta, e nul­la più. Ma anche sen­za cono­scer­lo bene, so che, come miglia­ia di altri sin­da­ci, il suo pri­mo pen­sie­ro era per la sua comu­ni­tà. Non per­ché tut­ti i sin­da­ci sia­no neces­sa­ria­men­te buo­ni o gran­di ammi­ni­stra­to­ri, ma per­ché chi rico­pre quel ruo­lo non lo fa per i sol­di – che non sono mai mol­ti, soprat­tut­to se sei il sin­da­co di una pic­co­la comu­ni­tà – né per il pote­re – che spes­so non c’è. Lo fa per­ché è inna­mo­ra­to del­la pro­pria cit­tà, gran­de o pic­co­la che sia.

E l’amore per la comu­ni­tà è un aman­te esi­gen­te: richie­de costan­ti atten­zio­ni e sacri­fi­ci, lascian­do­ti spes­so solo, anche quan­do sei in mez­zo alla gen­te.

Per­ché alla fine sei solo, solo davan­ti alle deci­sio­ni da pren­de­re, solo davan­ti a chi vie­ne nel tuo uffi­cio per chie­der­ti un lavo­ro, un favo­re. Solo davan­ti a chi si lamen­ta per le buche, per il rumo­re, per i ritar­di, per­si­no per la piog­gia o per il sole. E sei solo anche quan­do tor­ni a casa, e il tele­fo­no con­ti­nua a squil­la­re, per­ché sei sin­da­co sem­pre. Anche quan­do le por­te del Muni­ci­pio si chiu­do­no – e spes­so sei tu stes­so a chiu­der­le – i pro­ble­mi resta­no lì ad aspet­tar­ti, anche se è dome­ni­ca.

Cono­sce­vo poco il Sin­da­co Petri­ni, ma so che pri­ma di esse­re un sin­da­co, era un cit­ta­di­no inna­mo­ra­to.

Related Images: