Sociale, Tiso(Accademia Ic): “In Italia poche case rifugio per donne, fatto preoccupante”

Sociale, Tiso(Accademia Ic): “In Italia poche case rifugio per donne, fatto preoccupante”

23/10/2025 0 Di Marco Montini

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Socia­le, Tiso(Accademia Ic): “In Ita­lia poche case rifu­gio per don­ne, fat­to pre­oc­cu­pan­te”

“Un tet­to segre­to dove rico­min­cia­re. Le case rifu­gio (o case pro­tet­te) non sono sem­pli­ci allog­gi: sono spa­zi di rina­sci­ta. Qui, don­ne e bam­bi­ni tro­va­no un luo­go sicu­ro dove respi­ra­re, par­la­re, cura­re feri­te invi­si­bi­li. Gli indi­riz­zi sono segre­ti, gli acces­si con­trol­la­ti, e die­tro ogni por­ta c’è un pic­co­lo eco­si­ste­ma di cura: psi­co­lo­ghe, assi­sten­ti socia­li, avvo­ca­te, edu­ca­tri­ci. In que­ste strut­tu­re si impa­ra di nuo­vo a vive­re: a sen­tir­si al sicu­ro, a fidar­si, a cre­de­re che il futu­ro non deb­ba per for­za somi­glia­re al pas­sa­to. Eppu­re per mol­te don­ne, que­sto rifu­gio resta solo un sogno. Secon­do le rac­co­man­da­zio­ni del Con­si­glio d’Europa, infat­ti, ci dovreb­be esse­re una casa rifu­gio ogni 10mila abi­tan­ti. In Ita­lia, inve­ce, ce n’è una ogni 60.000. Signi­fi­ca che, in mol­tis­si­me pro­vin­ce, non esi­ste nean­che un posto dove acco­glie­re chi fug­ge dal­la vio­len­za. In alcu­ne regio­ni del Sud o nel­le aree rura­li, la rete di pro­te­zio­ne è qua­si ine­si­sten­te. La rispo­sta è com­ples­sa ma chia­ra: man­ca­no fon­di, pia­ni­fi­ca­zio­ne e volon­tà poli­ti­ca. Le risor­se pub­bli­che desti­na­te ai cen­tri anti­vio­len­za arri­va­no spes­so in ritar­do, a vol­te dopo mesi. Mol­te strut­tu­re soprav­vi­vo­no gra­zie a pro­get­ti tem­po­ra­nei o alla for­za del volon­ta­ria­to. A que­sto si aggiun­ge una gran­de diso­mo­ge­nei­tà ter­ri­to­ria­le: alcu­ne regio­ni han­no reti di acco­glien­za soli­de e coor­di­na­te, men­tre altre si affi­da­no a poche real­tà loca­li, spes­so iso­la­te e fra­gi­li. E poi c’è il “dopo”: usci­re da una casa rifu­gio signi­fi­ca affron­ta­re un nuo­vo ini­zio. Cer­ca­re lavo­ro, una casa, una scuo­la per i figli. Ma sen­za poli­ti­che di rein­se­ri­men­to socia­le e abi­ta­ti­vo, mol­te don­ne rischia­no di resta­re bloc­ca­te in un lim­bo, dove la liber­tà ha un prez­zo trop­po alto. Cosa pos­sia­mo fare per cam­bia­re le cose? Garan­ti­re un posto sicu­ro a ogni don­na non è un gesto di cari­tà, ma un dirit­to uma­no. E per ren­der­lo rea­le ser­vo­no azio­ni con­cre­te: Finan­zia­men­ti sta­bi­li e con­ti­nua­ti­vi, che per­met­ta­no alle strut­tu­re di lavo­ra­re sen­za pau­ra di chiu­de­re. Una rete nazio­na­le coor­di­na­ta, che assi­cu­ri stan­dard mini­mi di acco­glien­za in ogni regio­ne. Pro­get­ti di auto­no­mia, con per­cor­si di for­ma­zio­ne pro­fes­sio­na­le, soste­gni abi­ta­ti­vi e incen­ti­vi all’assunzione per le don­ne in usci­ta dal­la vio­len­za. Un coin­vol­gi­men­to più for­te del pri­va­to socia­le e del­le impre­se, per costrui­re allean­ze tra pub­bli­co e ter­zo set­to­re. Ma ser­ve anche – e soprat­tut­to – un cam­bia­men­to cul­tu­ra­le: rico­no­sce­re che la vio­len­za di gene­re non è un fat­to pri­va­to, ma un pro­ble­ma strut­tu­ra­le, che riguar­da tut­ti”.

Così, in una nota, il por­ta­vo­ce nazio­na­le di Acca­de­mia Ini­zia­ti­va Comu­ne e pre­si­den­te del­la asso­cia­zio­ne Ban­die­ra Bian­ca.

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