Marino. No alla guerra. Lo schifo della guerra. Giusto richiamare Neruda. Intanto Marco Onofrio fa squarciare la sua anima con un urlo

Marino. No alla guerra. Lo schifo della guerra. Giusto richiamare Neruda. Intanto Marco Onofrio fa squarciare la sua anima con un urlo

03/07/2025 0 Di Maurizio Aversa

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Deci­ne e deci­ne, in Ita­lia e nel mon­do, sono le ini­zia­ti­ve che oltre il soste­gno al popo­lo pale­sti­ne­se, ha nel ful­cro del­le appas­sio­na­te ini­zia­ti­ve orga­niz­za­te, un moni­to: non ces­sa­re di far sape­re, non tace­re lo stra­zio, non nascon­de­re sof­fe­ren­ze e mor­ti e deva­sta­zio­ni. Allo stes­so modo, le denun­ce e le atten­zio­ni dei con­flit­ti pre­sen­ti nel­l’in­te­ro pia­ne­ta, richia­ma­no alla luci­da ana­li­si di scuo­la mar­xi­sta e suc­ces­si­vi appro­fon­di­men­ti che die­tro le guer­re c’è l’e­co­no­mia: quel­la pre­da­to­ria, quel­la che man­gia se stes­sa nel siste­ma capi­ta­li­sti­co. E poi, come poten­te­men­te ci indi­ca il poe­ta e scrit­to­re Mar­co Ono­frio, c’è la sto­ria del­l’u­ma­ni­tà, la sto­ria, le sto­rie degli uomi­ni e del­le don­ne che dovrem­mo rimet­te­re al cen­tro del vive­re, del vive­re nel­le comu­ni­tà, fisi­che e/o glo­ba­liz­za­te. Di segui­to ripor­tia­mo, appun­to, una rifles­sio­ne di Mar­co Ono­frio e, soprat­tut­to, una sua poe­sia da leg­ge­re e rileg­ge­re e inte­rio­riz­za­re.

Mar­co Ono­frio leg­ge con impe­to e pas­sio­ne alla Biblio­te­ca Casa­na­ten­se di Roma


“Per­ché l’uomo non impa­ra mai dai pro­pri erro­ri? — si chie­de il poe­ta — A soli 80 anni dal­la cata­stro­fe del­la Secon­da guer­ra mon­dia­le, dite­mi per favo­re com’è – sia pur lon­ta­na­men­te – con­ce­pi­bi­le che si lasci­no sbia­di­re i tan­ti “mai più” nel frat­tem­po pro­mes­si e ripe­tu­ti, per tor­na­re ad ave­re dime­sti­chez­za con la madre di ogni male e di ogni orro­re? Per­ché la memo­ria del­la guer­ra non attec­chi­sce? Per­ché non basta­no i fat­ti sto­ri­ci, i fil­ma­ti, i ricor­di scrit­ti e ora­li di chi ha vis­su­to cer­ti gior­ni? Per­ché c’è con­ti­nua­men­te biso­gno di rin­no­va­re la per­ce­zio­ne autoe­vi­den­te del­la sua ter­ri­bi­li­tà? Tut­ti san­no, infat­ti, che cos’è real­men­te la guer­ra, ma ogni tot di gene­ra­zio­ni nasce come la curio­si­tà per­ver­sa di spe­ri­men­tar­la anco­ra una vol­ta. Gli inte­res­si poli­ti­ci ed eco­no­mi­ci pre­mo­no in quel­la dire­zio­ne, noti­fi­can­do la neces­si­tà “rin­no­va­tri­ce” del con­flit­to. E allo­ra, sobil­la­ta dai gover­ni inte­res­sa­ti, nasce l’esigenza di comin­cia­re a par­lar­ne, di rimet­ter­ne in cir­co­lo la paro­la, qua­si a nor­ma­liz­zar­la, a tra­sfor­mar­la in qual­co­sa di diver­so da quel­lo che è, per far sì che la gen­te si abi­tui e si pre­pa­ri all’idea del­la sua pre­su­mi­bi­le immi­nen­za. — poi Ono­frio pres­san­te con­ti­nua — Già solo il fat­to che si tor­ni a par­la­re di “Ter­za guer­ra mon­dia­le” dovreb­be pro­dur­re rac­ca­pric­cio, ma appun­to l’obiettivo è che a for­za di par­lar­ne i bri­vi­di si atte­nui­no, che il tam-tam pro­du­ca con­sue­tu­di­ne. Que­sto ser­ve sia come stra­te­gia del­la ten­sio­ne, affin­ché i popo­li non sia­no mai sot­trat­ti al gio­go del­la ves­sa­zio­ne che li “deve” sot­to­met­te­re e impau­ri­re per ren­der­li meglio mani­po­la­bi­li e sog­get­ti alle men­zo­gne uffi­cia­li (dal­la pan­de­mia di Covid 19 alle guer­re a rischio pla­ne­ta­rio guar­da caso è sta­to un atti­mo, e una regia occul­ta è sem­bra­ta pre­di­spor­ne a tavo­li­no la sequen­za imme­dia­ta); sia come anti­ci­pa­zio­ne per­sua­si­va e dun­que faci­li­ta­zio­ne del­la real­tà desi­de­ra­ta, per vir­tù di evo­ca­zio­ne e sug­ge­stio­ne, pro­prio per­ché abi­tuar­si all’idea del­la guer­ra è, di fat­to, il pri­mo pas­sa­por­to per l’inferno, cioè il modo miglio­re (anzi, il peg­gio­re) di far­la poi acca­de­re per dav­ve­ro. — con­ti­nua nel­la espo­si­zio­ne denun­cia Mar­co Ono­frio — Non ci vuo­le un genio per capi­re che la guer­ra, anche come con­cet­to, non è nor­ma­liz­za­bi­le, in quan­to non deve mai smet­te­re di esser per­ce­pi­ta come è: imma­ne por­che­ria e bel­va immon­da, furia ster­mi­na­tri­ce che fal­cia vite inno­cen­ti can­cel­lan­do anche il nome del­la “civil­tà” da cui spes­so vie­ne par­to­ri­ta. La cosa più schi­fo­sa del­la guer­ra è pro­prio il sacri­fi­cio di esse­ri iner­mi e incol­pe­vo­li che subi­sco­no (come spi­ghe sot­to la ruo­ta del­la mie­ti­treb­bia) le deci­sio­ni arbi­tra­rie dei gover­nan­ti, i loro spor­chi accor­di con le indu­strie bel­li­che, l’ipocrisia del­le dop­pie mora­li media­ti­che per cui sem­bra che esi­sta­no mor­ti di “serie a” e mor­ti di “serie b” a secon­da del pun­to di vista. È bene non dimen­ti­ca­re una cele­bre fra­se attri­bui­ta a Pablo Neru­da: «Le guer­re sono fat­te da per­so­ne che si ucci­do­no sen­za cono­scer­si, per gli inte­res­si di per­so­ne che si cono­sco­no ma non si ucci­do­no». La real­tà vera e non misti­fi­ca­bi­le dice che la guer­ra è uno scan­da­lo, da sem­pre e per sem­pre; e lo è ogni gior­no di più, nel­la misu­ra in cui la Sto­ria ha ampia­men­te dimo­stra­to, sem­mai ce ne fos­se biso­gno, la sua natu­ra distrut­ti­va e disu­ma­na, e soprat­tut­to la sua inef­fi­cien­za come stru­men­to di riso­lu­zio­ne del­le con­tro­ver­sie. Pro­prio allo scan­da­lo ho pen­sa­to, tro­van­do­mi a scri­ve­re una com­po­si­zio­ne poe­ti­ca sul­la guer­ra, e così l’ho difat­ti inti­to­la­ta. Ecco­la:

LO SCANDALO

L’alba è il dol­ce assen­so
che irra­dia dal sor­ri­so
del­la ter­ra.

Ogni mat­ti­na rina­sce
la pos­si­bi­li­tà
del para­di­so.
Ma la per­dia­mo sem­pre,
per­ché il male è una radi­ce eter­na
che inci­sta in fon­do
all’atomo di luce.
Lì den­tro, sub­do­la,
alli­gna la gra­mi­gna
dell’orrore, la pian­ta
sem­pre­ne­ra del­la guer­ra.

Come una minu­sco­la
luc­cio­la abban­do­na­ta
ai mar­gi­ni d’un fiu­me
si spe­gne la lan­ter­na
pia­no pia­no
e più non si riac­cen­de.

Per­ché, per­ché
trion­fa l’ingiustizia
in ogni dove?

È un dito di accu­sa al cie­lo
l’urlo che spac­ca il cuo­re
pie­no di dolo­re lace­ran­te.
È lo scan­da­lo dell’enormità.

Il pugno sul­la boc­ca spa­lan­ca­ta,
i den­ti con­fic­ca­ti sul­le noc­che
e lo spa­ven­to
nel­lo sguar­do vitreo
del­la gen­te.

Invo­chia­mo la sal­vez­za
di una musi­ca che suo­na già
da sem­pre nel­lo spa­zio vuo­to
e che per noi è “silen­zio”.
Atten­dia­mo esta­ti­ci
il mira­co­lo di un dio.
La volon­tà dell’invisibile
obbe­di­reb­be for­se
al nostro cen­no?

Ma i sogni, i sogni, i sogni
che riu­scia­mo anco­ra
a distil­la­re
dal mar­to­ria­to sen­no
che risol­ve
– flut­tuan­ti fan­ta­sie
dei dispe­ra­ti –
si allon­ta­na­no
ine­so­ra­bil­men­te
lun­go le vie del tem­po.
Ogni bar­lu­me di spe­ran­za
si dis­sol­ve.

Così, se una madre pian­ge
il figlio mor­to tra le brac­cia
pian­ge tut­to l’universo
coi mil­le e mil­le occhi
che tre­ma­no di lacri­me infi­ni­te.
Noi le chia­mia­mo stel­le
ma sono i nomi degli illu­si
sui sepol­cri del­la feli­ci­tà.

Mar­co Ono­frio

mani­fe­sta­zio­ne nazio­na­le con­tro il riar­mo e per la Pale­sti­na a Roma

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