Sabato 5 Novembre, alle ore 21:00, al centro socio-culturale ‘Il Ponte’ di Giulianello, con il…

Marino. No alla guerra. Lo schifo della guerra. Giusto richiamare Neruda. Intanto Marco Onofrio fa squarciare la sua anima con un urlo
03/07/2025Questo articolo è stato letto 549 volte!
Decine e decine, in Italia e nel mondo, sono le iniziative che oltre il sostegno al popolo palestinese, ha nel fulcro delle appassionate iniziative organizzate, un monito: non cessare di far sapere, non tacere lo strazio, non nascondere sofferenze e morti e devastazioni. Allo stesso modo, le denunce e le attenzioni dei conflitti presenti nell’intero pianeta, richiamano alla lucida analisi di scuola marxista e successivi approfondimenti che dietro le guerre c’è l’economia: quella predatoria, quella che mangia se stessa nel sistema capitalistico. E poi, come potentemente ci indica il poeta e scrittore Marco Onofrio, c’è la storia dell’umanità, la storia, le storie degli uomini e delle donne che dovremmo rimettere al centro del vivere, del vivere nelle comunità, fisiche e/o globalizzate. Di seguito riportiamo, appunto, una riflessione di Marco Onofrio e, soprattutto, una sua poesia da leggere e rileggere e interiorizzare.

Marco Onofrio legge con impeto e passione alla Biblioteca Casanatense di Roma
“Perché l’uomo non impara mai dai propri errori? — si chiede il poeta — A soli 80 anni dalla catastrofe della Seconda guerra mondiale, ditemi per favore com’è – sia pur lontanamente – concepibile che si lascino sbiadire i tanti “mai più” nel frattempo promessi e ripetuti, per tornare ad avere dimestichezza con la madre di ogni male e di ogni orrore? Perché la memoria della guerra non attecchisce? Perché non bastano i fatti storici, i filmati, i ricordi scritti e orali di chi ha vissuto certi giorni? Perché c’è continuamente bisogno di rinnovare la percezione autoevidente della sua terribilità? Tutti sanno, infatti, che cos’è realmente la guerra, ma ogni tot di generazioni nasce come la curiosità perversa di sperimentarla ancora una volta. Gli interessi politici ed economici premono in quella direzione, notificando la necessità “rinnovatrice” del conflitto. E allora, sobillata dai governi interessati, nasce l’esigenza di cominciare a parlarne, di rimetterne in circolo la parola, quasi a normalizzarla, a trasformarla in qualcosa di diverso da quello che è, per far sì che la gente si abitui e si prepari all’idea della sua presumibile imminenza. — poi Onofrio pressante continua — Già solo il fatto che si torni a parlare di “Terza guerra mondiale” dovrebbe produrre raccapriccio, ma appunto l’obiettivo è che a forza di parlarne i brividi si attenuino, che il tam-tam produca consuetudine. Questo serve sia come strategia della tensione, affinché i popoli non siano mai sottratti al giogo della vessazione che li “deve” sottomettere e impaurire per renderli meglio manipolabili e soggetti alle menzogne ufficiali (dalla pandemia di Covid 19 alle guerre a rischio planetario guarda caso è stato un attimo, e una regia occulta è sembrata predisporne a tavolino la sequenza immediata); sia come anticipazione persuasiva e dunque facilitazione della realtà desiderata, per virtù di evocazione e suggestione, proprio perché abituarsi all’idea della guerra è, di fatto, il primo passaporto per l’inferno, cioè il modo migliore (anzi, il peggiore) di farla poi accadere per davvero. — continua nella esposizione denuncia Marco Onofrio — Non ci vuole un genio per capire che la guerra, anche come concetto, non è normalizzabile, in quanto non deve mai smettere di esser percepita come è: immane porcheria e belva immonda, furia sterminatrice che falcia vite innocenti cancellando anche il nome della “civiltà” da cui spesso viene partorita. La cosa più schifosa della guerra è proprio il sacrificio di esseri inermi e incolpevoli che subiscono (come spighe sotto la ruota della mietitrebbia) le decisioni arbitrarie dei governanti, i loro sporchi accordi con le industrie belliche, l’ipocrisia delle doppie morali mediatiche per cui sembra che esistano morti di “serie a” e morti di “serie b” a seconda del punto di vista. È bene non dimenticare una celebre frase attribuita a Pablo Neruda: «Le guerre sono fatte da persone che si uccidono senza conoscersi, per gli interessi di persone che si conoscono ma non si uccidono». La realtà vera e non mistificabile dice che la guerra è uno scandalo, da sempre e per sempre; e lo è ogni giorno di più, nella misura in cui la Storia ha ampiamente dimostrato, semmai ce ne fosse bisogno, la sua natura distruttiva e disumana, e soprattutto la sua inefficienza come strumento di risoluzione delle controversie. Proprio allo scandalo ho pensato, trovandomi a scrivere una composizione poetica sulla guerra, e così l’ho difatti intitolata. Eccola:

LO SCANDALO
L’alba è il dolce assenso
che irradia dal sorriso
della terra.
Ogni mattina rinasce
la possibilità
del paradiso.
Ma la perdiamo sempre,
perché il male è una radice eterna
che incista in fondo
all’atomo di luce.
Lì dentro, subdola,
alligna la gramigna
dell’orrore, la pianta
semprenera della guerra.
Come una minuscola
lucciola abbandonata
ai margini d’un fiume
si spegne la lanterna
piano piano
e più non si riaccende.
Perché, perché
trionfa l’ingiustizia
in ogni dove?
È un dito di accusa al cielo
l’urlo che spacca il cuore
pieno di dolore lacerante.
È lo scandalo dell’enormità.
Il pugno sulla bocca spalancata,
i denti conficcati sulle nocche
e lo spavento
nello sguardo vitreo
della gente.
Invochiamo la salvezza
di una musica che suona già
da sempre nello spazio vuoto
e che per noi è “silenzio”.
Attendiamo estatici
il miracolo di un dio.
La volontà dell’invisibile
obbedirebbe forse
al nostro cenno?
Ma i sogni, i sogni, i sogni
che riusciamo ancora
a distillare
dal martoriato senno
che risolve
– fluttuanti fantasie
dei disperati –
si allontanano
inesorabilmente
lungo le vie del tempo.
Ogni barlume di speranza
si dissolve.
Così, se una madre piange
il figlio morto tra le braccia
piange tutto l’universo
coi mille e mille occhi
che tremano di lacrime infinite.
Noi le chiamiamo stelle
ma sono i nomi degli illusi
sui sepolcri della felicità.
Marco Onofrio

manifestazione nazionale contro il riarmo e per la Palestina a Roma
Related Images:

Un operatore dell’informazione. Un attivista culturale impegnato a diffondere le buone pratiche che aumentano ed estendono la fruizione del miglior bene immateriale di cui l’umanità dispone: il sapere, la conoscenza, la cultura. Questo il mio intimo a cui mi ispiro e la mia veste “giornalistica”. Professionalmente provengo da esperienze “strutturate” come sono gli Uffici Stampa pesanti: La Lega delle Cooperative, Botteghe Oscure. Ma anche esperienze di primo impatto: Italia Radio; e il mondo delle Rassegne Stampa cooperativa DIRE, Diretel, Rastel, Telpress. Per la carta stampata oltre una esperienza “in proprio” come direttore scientifico della rivista “Vini del Lazio”, ho collaborato con Paese Sera, con L’Unità, con Oggi Castelli.