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Marino. Giornata del Ricordo? Anche così! “Colonialismo Interno, Colonialismo Esterno e Pulizia Etnica in Slovenia: Il Caso Italiano
09/02/2025Questo articolo è stato letto 581 volte!

Il dott. Coriolano Giorgi, estensore di questa ricerca che ha contenuti critici, riflessioni
“Mio personale contributo alla decostruzione della narrazione storica dominante sul giorno del ricordo del
10 febbraio. Con una chicca per i miei concittadini marinesi alle conclusioni.” E’ questo l’avviso prima della descrizione della ricerca e delle note critiche che il Dott. Coriolano Giorgi propone ai lettori.
Colonialismo Interno: il “Meridione come Africa”
L’Italia ha praticato il colonialismo non solo nelle terre d’oltremare, ma anche all’interno dei suoi stessi confini, con un processo che possiamo definire colonialismo interno . Un esempio emblematico è la repressione del
brigantaggio post-unitario nel Sud Italia. Dopo l’annessione delle regioni meridionali, l’esercito italiano trattò
i ribelli e la popolazione civile con la stessa brutalità riservata successivamente alle popolazioni africane e
balcaniche: tribunali militari straordinari, fucilazioni sommarie, deportazioni e segregazione sociale.
Non a caso, il generale Enrico Cialdini descrisse il Sud come un’Africa interna, sostenendo che la repressione
dovesse essere spietata, proprio come in una colonia. Questo atteggiamento venne poi replicato in Eritrea,
Somalia e Libia, dove le popolazioni indigene vennero considerate arretrate e soggette a violente operazioni
di “civilizzazione”.
Colonialismo Esterno: la violenza nelle colonie africane e nei Balcani
Il colonialismo esterno dell’Italia si caratterizzò per una brutalità sistematica, specialmente in Libia ed Etiopia. Durante l’occupazione libica (1911–1932), l’Italia fece largo uso della repressione, con campi di
concentrazione che causarono la morte di oltre 100.000 libici. Allo stesso modo, durante l’occupazione
dell’Etiopia, vennero impiegate armi chimiche come l’iprite, mentre episodi di massacri indiscriminati si
susseguirono, come i tre giorni di sangue ad Addis Abeba nel 1937 e l’eccidio dei monaci di Debrà Libanòs.
Ma la violenza coloniale non si limitò all’Africa. Nei Balcani, l’Italia fascista portò avanti vere e proprie
operazioni di “bonifica etnica”. La Jugoslavia occupata divenne teatro di una politica di sterminio e
assimilazione forzata, con particolare accanimento sulla popolazione slovena e croata. Il generale Roatta, su
indicazione di Mussolini, pianificò la deportazione di massa degli sloveni della provincia di Lubiana, per
sostituirli con coloni italiani. Il progetto prevedeva lo sgombero di intere regioni e la loro italianizzazione
forzata, replicando in Europa una pratica già sperimentata in Africa.

Lo sterminio dei Monaci di Debra Libanos
La Pulizia Etnica in Slovenia: Il Progetto di “Bonifica” Italiana
(1941–1943)
Il Contesto: L’Occupazione Italiana della Slovenia
Con l’invasione della Jugoslavia da parte delle forze dell’Asse nell’aprile del 1941, il Regno d’Italia si annesse
la parte meridionale della Slovenia, tra cui la provincia di Lubiana. Questo fu l’inizio di una delle occupazioni
più violente della Seconda Guerra Mondiale, in cui l’Italia tentò di trasformare la Slovenia in un territorio
completamente italianizzato, eliminando o assimilando la popolazione slovena.
L’amministrazione fascista considerava gli sloveni come un popolo inferiore e un ostacolo alla costruzione di
un’Italia imperiale nei Balcani. Il regime di Mussolini mirava non solo a controllare politicamente il territorio,
ma anche a eliminare ogni traccia di cultura, identità e resistenza slovena. Questo obiettivo si tradusse in una
strategia di repressione sistematica e di pulizia etnica su larga scala.
L’Obiettivo della “Bonifica Etnica”
Fin dai primi giorni dell’occupazione, le autorità italiane adottarono politiche di repressione durissima contro
la popolazione slovena, guidate dal generale Mario Roatta, comandante della II Armata. In un famoso ordine
del 1º marzo 1942, Roatta dichiarava che in Slovenia era necessario agire “con metodi brutali”, prevedendo:
• Deportazioni di massa della popolazione slovena nei campi di concentramento;
• Esecuzioni sommarie di civili sospettati di collaborare con i partigiani;
• Distruzione di villaggi ritenuti focolai di resistenza;
• Italianizzazione forzata degli sloveni, eliminando la loro lingua e cultura.
Il piano prevedeva la deportazione di almeno 35.000 sloveni, pari a circa il 10% della popolazione della
provincia di Lubiana. In molte località, la popolazione civile fu radunata e deportata senza preavviso, con
famiglie intere separate e destinate a campi di concentrazione come quelli di Arbe (Rab), Gonars e Visco,
situati in Italia
Deportazioni di Massa e Campi di Concentramento
Gli sloveni furono internati in campi di concentramento italiani, noti per le loro condizioni disumane. Tra i
peggiori:
• Arbe (Rab) : situato su un’isola dell’Adriatico, divenne noto per l’alta mortalità tra i prigionieri sloveni
e croati. Oltre 1.500 persone vi morirono di fame, freddo e malattie.
• Gonars : costruito per contenere migliaia di sloveni e croati, il campo era caratterizzato da condizioni
igienico-sanitarie spaventose e frequenti torture ai detenuti.
• Chiesanuova e Visco : campi meno noti ma altrettanto inumani, dove gli sloveni venivano deportati
e lasciati in condizioni di estrema povertà.
Questi campi erano luoghi di annientamento per fame, malattie e brutalità delle guardie . Testimonianze dei
sopravvissuti riportano che i prigionieri ricevevano meno di 300 calorie al giorno , con porzioni minime di
pane e acqua. La mortalità infantile era altissima, e molti bambini morirono di inedia.
Esecuzioni Sommarie e Stragi
Le truppe italiane non si limitarono alla deportazione: la strategia della pulizia etnica prevedeva anche
uccisioni di massa . L’ordine di Roatta era chiaro: “Dobbiamo creare il terrore, arrestando e fucilando
chiunque sia sospetto”. Le stragi più brutali includono:
• Fucilazioni di massa nei villaggi : interi paesi vennero incendiati e gli abitanti massacrati per presunti
legami con i partigiani.
• Uso di ostaggi : le autorità italiane presero l’abitudine di giustiziare civili innocenti ogni volta che un
soldato italiano veniva ucciso dai partigiani.
• Torture nei centri di detenzione : a Lubiana, Trieste e in altre città, gli sloveni venivano arrestati e
sottoposti a tortura nei sotterranei della polizia segreta fascista.
Le modalità di sterminio furono le stesse impiegate in Africa e nei Balcani: rastrellamenti indiscriminati,
incendi di villaggi, fucilazioni pubbliche e deportazioni forzate.

L’italianizzazione forzata e il soffocamento della cultura
slovena
Uno degli obiettivi chiave dell’occupazione italiana era la completa italianizzazione della Slovenia , da
realizzare eliminando la lingua, la cultura e l’identità slovena. Le misure adottate includevano:
• Abolizione della lingua slovena : l’uso dello sloveno era vietato nelle scuole, negli uffici pubblici e
persino nelle chiese.
• Censura della stampa : i giornali sloveni furono soppressi e sostituiti con pubblicazioni fasciste in
italiano.
• Cambio dei nomi e cognomi : gli sloveni furono costretti a italianizzare i propri nomi, come già
avvenuto in Alto Adige e in Istria negli anni ’20.
• Distruzione di simboli culturali : biblioteche, scuole e archivi sloveni furono distrutti per cancellare
ogni traccia dell’identità nazionale.
L’idea era quella di trasformare la Slovenia in una provincia italiana, annientando ogni resistenza culturale.
Tuttavia, queste misure alimentano la rabbia della popolazione e rafforzano la lotta partigiana.
Conclusione: Un Crimine Dimenticato
Il progetto di bonifica etnica italiana in Slovenia è uno dei capitoli più oscuri della storia del fascismo, ma per
decenni è stato rimosso dalla memoria collettiva italiana.
La verità è che la pulizia etnica italiana in Slovenia non fu diversa da quella attuata dai nazisti in Europa
orientale. Fu un tentativo deliberato di sterminio e sostituzione di un popolo, perpetrato con brutalità e
sistematicità.
PS Per i miei concittadini marinesi : Il Governatore del Montenegro Generale Alessandro Pirzio Biroli,
nonostante sia stato inserito nella lista dei soggetti più ricercati sia dalla UNWCC (Commissione delle Nazioni
Unite sui crimini commessi durante la Seconda Guerra Mondiale), sia dal CROWCASS (Registro Centrale per i
Criminali di Guerra), non è stato né estradato in Jugoslavia né processato in Italia.
Collocato in congedo assoluto nel 1954, si ritirò a vita privata nella sua casa di Ciampino, la sua salma riposa
nella parte vecchia del cimitero di Marino Laziale.

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Un operatore dell’informazione. Un attivista culturale impegnato a diffondere le buone pratiche che aumentano ed estendono la fruizione del miglior bene immateriale di cui l’umanità dispone: il sapere, la conoscenza, la cultura. Questo il mio intimo a cui mi ispiro e la mia veste “giornalistica”. Professionalmente provengo da esperienze “strutturate” come sono gli Uffici Stampa pesanti: La Lega delle Cooperative, Botteghe Oscure. Ma anche esperienze di primo impatto: Italia Radio; e il mondo delle Rassegne Stampa cooperativa DIRE, Diretel, Rastel, Telpress. Per la carta stampata oltre una esperienza “in proprio” come direttore scientifico della rivista “Vini del Lazio”, ho collaborato con Paese Sera, con L’Unità, con Oggi Castelli.