Marino. Incontro con Coriolano Giorgi su Migrazioni e Guerre del Capitale internazionale
19/09/2024Questo articolo è stato letto 1402 volte!
Abbiamo incontrato il dott. Coriolano Giorgi durante una visita che egli ha fatto a Bibliopop. Per l’occasione ci ha voluto riportare alcuni spunti che ha avuto modo di elaborare basandosi sia su dati di Neodemos https://www.neodemos.info/2024/09/06/un-mondo-in-fuga/, a cura del Prof. Corrado Bonifazi, estratto dai dati UNHCR (United Nations High Commissioner for Refugees), Global trends. Forced displacement in 2023, Copenhagen, UNHCR., https://www.unhcr.org/refugee-statistics/; sia su una recente lettura del libro del prof Emiliano Brancaccio “ LA GUERRA CAPITALISTICA. Competizione, Centralizzazione, Nuovo Conflitto Imperialista”. Abbiamo chiesto: lei è convinto che questo nostro è un mondo in fuga dalle guerre. Ci spieghi. Risponde e illustra il dott. Giorgi: “Il nuovo rapporto dell’UNHCR permette di fare il punto sugli ultimi sviluppi delle migrazioni forzate in tutto il mondo. Una situazione internazionale sempre più instabile ha determinato nel 2023 una ulteriore crescita delle persone sotto protezione internazionale, arrivate ormai a superare i 117 milioni. La cifra complessiva fornita dall’UNHCR comprende 31,6 milioni di rifugiati, 6,9 milioni di richiedenti asilo, 6 milioni di rifugiati palestinesi sotto mandato dell’UNRWA2 (recentemente assurta agli onori delle cronache durante l’occupazione israeliana della striscia di Gaza), 5,8 milioni di altre persone sotto protezione internazionale e 68,3 milioni di sfollati interni3. I tre quarti di queste persone riceve assistenza e protezione in un paese a basso o medio reddito, mentre il 21% si trova in uno dei paesi meno sviluppati e il 69% di chi è stato costretto a lasciare il proprio paese è stato accolto in uno stato confinante.”.
Quindi questi dati, chiediamo ancora a Giorgi, sono storicamente “moderni” per la vastità delle aree coinvolte, ce le vuole specificare ulteriormente? “certamente — illustra il nostro ospite — ad esempio analizziamo i Paesi d’origine e d’asilo: Considerando i paesi di origine delle persone protette emerge una geografia delle migrazioni forzate che interessa una parte di mondo molto più vasta di quella che generalmente trova spazio sulle prime pagine dei giornali o nei notiziari della sera. Tra i paesi che contribuiscono di più a questa tragica classifica ne troviamo infatti alcuni che in questi ultimi anni sono stati al centro dell’attenzione mediatica accanto ad altri che ne sono rimasti decisamente ai margini (Fig. 2). La Siria con quasi 14 milioni di persone è il paese che più contribuisce alle migrazioni forzate, seguita dall’Ucraina con 12,3, dal Sudan con 10,8, dal Venezuela (10,6), dall’Afghanistan (10), dalla Repubblica Democratica del Congo (9,2), dalla Colombia (7,9), dalla Palestina4 (6), dalla Somalia (4,9), dallo Yemen (4,6) e dal Myanmar (4,2). Dopo quelli riportati nel grafico altri sette paesi sono i luoghi d’origine di più di un milione di persone sotto protezione internazionale alla fine del 2023: sei in Africa (Sud Sudan, Nigeria, Etiopia, Burkina Faso e Repubblica Centroafricana) e l’Iraq in Asia.”.
Quindi già da questi dati drammatici insiti nella “forzosità” della scelta di migrare, di fuggire dalle varie realtà, sono originati non dalla cosiddetta povertà del terzo mondo, ma dalla necessità di salvare la pelle? “E’ una situazione complessa, ma sicuramente spinta ed esasperata proprio dalle situazioni di guerra — illustra Giorgi — Questi dati spiegano anche il mosaico di provenienze che si ritrova tra chi sbarca sulle nostre coste, frutto evidente del moltiplicarsi delle situazioni di crisi e di una pressione crescente che si è creata in questi ultimi anni in una molteplicità di paesi. Il peso delle diverse categorie è differente nelle varie situazioni, sia per le specifiche caratteristiche del conflitto sia per le modalità di azione della comunità internazionale. È ad esempio elevato il numero di rifugiati provenienti dalla Siria, dall’Ucraina e dall’Afghanistan ospitati in altri paesi, mentre questa categoria assume negli altri casi considerati un rilievo decisamente minore a vantaggio dei profughi interni o delle “Altre categorie”. In quest’ultimo gruppo sono soprattutto comprese persone che sono state costrette a lasciare il proprio paese e che, pur non rientrando nelle altre categorie, hanno ugualmente bisogno di protezione internazionale.”. C’è anche un rapporto diretto tra la profondità e vastità della devastazione delle guerre e le popolazioni appartenenti a quei Paesi? Specifica Coriolano Giorgi: ” A scopo puramente indicativo è stata calcolata la percentuale dell’insieme delle persone sotto protezione sull’ammontare degli abitanti dei paesi considerati. Da questo punto di vista la situazione peggiore è quella dei palestinesi, dato che in questo caso il numero dei protetti è addirittura superiore a quello degli abitanti dello Stato di Palestina, risultato emblematico di una crisi che si è aperta con la prima guerra arabo-israeliana del 1948 e che i recenti sviluppi stanno drammaticamente peggiorando. Nel caso siriano si arriva quasi al 60%, segue il Venezuela con il 37,4%, quattro paesi hanno valori superiori al 20% (Ucraina, Somalia, Afghanistan e Sudan), mentre gli altri presentano percentuali inferiori sino al minimo del 7,8% del Myanmar, dove la situazione di crisi riguarda la minoranza dei Rohingya.”. Verso quale riflessione ci indirizza con queste approfondite illustrazioni di dati? “La riflessione che sottopongo, — spiega ancora il nostro interlocutore — è su come “Il Mondo in fuga non sia altro che il risultato delle guerre che l’Occidente svolge negli ultimi anni, contro il resto del mondo. Citando proprio il bel libro di recente uscita del Prof. Emiliano Brancaccio. A partire dalla violenta recessione internazionale del 2008, passando per la crisi pandemica del 2020, arrivando alla crisi militare del 2022, a Gaza dell’ottobre 2023, un periodo turbolento che sta rappresentando un vero spartiacque, un taglio nel corso degli eventi. Gettato via da quel che poco resta del movimento operaio, l’occhio scientifico di Marx viene cosi recuperato e rimesso in funzione delle menti pensanti della classe dominanti. Tra il gennaio 2008 e il dicembre 2021 sul “ Financial Times”, Marx è stato evocato ben 2.264 volte e la parola “marxismo” è apparsa ben 1.717 volte. Quando nel 2018 ricorsero i duecento anni dalla nascita dell’autore de Il capitale, sul grande quotidiano economico-finanziario, apparve un lungo articolo di Ruper Younger, direttore del Center for Corporate Reputation dell’università di Oxford , e di Frank Partnoy, professore di diritto all’Università della California di Berkeley. I due accademici , esperti navigatori del mondo finanziario , domandarono : cosa scriverebbe oggi Karl Marx? La risposta che diedero fu quanto mai eretica : “ circa tre quarti della prosa originaria del Manifesto del Partito Comunista, meritano di sopravvivere.[ Younger, Partnoy 2018]. Proprio nel Manifesto, insieme ad Engels, Marx getta i primi semi analitici dell’odierno tema dei temi. E’ la cosiddetta centralizzazione dei capitali in sempre meno mani, una tendenza che nel Capitale verrà formulata come vera è propria “ legge” generale di movimento della società.”. C’è una conclusione “oggettiva” rispetto a tutto ciò? “Concludo, osservando, — chiosa Giorgi — che questa tendenza verso la centralizzazione del capitale in sempre meno mani, sta disgregando l’ordine liberal democratico e alimentando la guerra tra nazioni. Si evidenzia tra l’altro cosa che tocchiamo con mano in Italia, Francia, Usa che la centralizzazione capitalistica, assedio alla democrazia, sterilizzata dall’astensionismo è soltanto un farsa rappresentazione tra destra tecnocratica e destra reazionaria. Qualcuno ha osservato che è più facile pensare alla fine del mondo che alla fine del capitalismo, nel frattempo in effetti gli ultra-ricchi preparano la loro migrazione su Marte e finanziano i Frankenstein della geoingegneria.”.
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Un operatore dell’informazione. Un attivista culturale impegnato a diffondere le buone pratiche che aumentano ed estendono la fruizione del miglior bene immateriale di cui l’umanità dispone: il sapere, la conoscenza, la cultura. Questo il mio intimo a cui mi ispiro e la mia veste “giornalistica”. Professionalmente provengo da esperienze “strutturate” come sono gli Uffici Stampa pesanti: La Lega delle Cooperative, Botteghe Oscure. Ma anche esperienze di primo impatto: Italia Radio; e il mondo delle Rassegne Stampa cooperativa DIRE, Diretel, Rastel, Telpress. Per la carta stampata oltre una esperienza “in proprio” come direttore scientifico della rivista “Vini del Lazio”, ho collaborato con Paese Sera, con L’Unità, con Oggi Castelli.