L’Opinione: Polemica Aversa-Santarelli sul territorio castellano. Voi che ne pensate?

L’Opinione: Polemica Aversa-Santarelli sul territorio castellano. Voi che ne pensate?

24/06/2013 0 Di puntoacapo

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Giulio Santarel­li, già Pres­i­dente del­la Regione Lazio e oggi apprez­za­to viti­coltore castel­lano, ha scrit­to, basan­dosi su anni di espe­rien­za e ricerche, un nuo­vo libro sul­la viti­coltura a Roma e nei Castel­li Romani, facen­do un escur­sus nel­la sto­ria e nel­l’evoluzione del ter­ri­to­rio, dal pun­to di vista agri­co­lo ed urban­is­ti­co. Mau­r­izio Aver­sa ha scrit­to un reso­con­to criti­co del­l’even­to, al quale Santarel­li ha ritenu­to dover rispon­dere, speci­f­i­can­do alcune ques­tioni.. Ma ovvi­a­mente, Aver­sa, gli ha scrit­to la con­tro-rispos­ta. Ci sarà un quar­to round? Non lo sap­pi­amo, ma questo bot­ta e rispos­ta, intan­to, tes­ti­mo­nia che la voglia di dis­cutere di polit­i­ca e scelte a Mari­no non si è sopi­ta, quin­di, nel pro­porvi una let­tura delle due diverse cam­pane, vi invi­ti­amo a dire la vos­tra nei com­men­ti.

Maurizio Aversa, Segretario PdCI Marino

Mau­r­izio Aver­sa, Seg­re­tario PdCI Mari­no

1° ROUND — AVERSA

Pre­sen­ta­to ai Castel­li romani il libro-provo­cazione di Santarel­li sul­la vitivini­coltura. Pro­pone dife­sa dell’ecosistema e polit­i­ca di cam­bi­a­men­to.

di Mau­r­izio Aver­sa

Gius­ta­mente San­dro Carac­ci, già pres­i­dente del  Par­co dei Castel­li romani, inter­ve­nen­do alla pre­sen­tazione del libro di Giulio Santarel­li “La viti­coltura a Roma e nei Castel­li Romani — Orig­i­ni, Svilup­po, Decli­no e Idee per la Rinasci­ta” edi­to per i tipi di Pier­al­do Edi­tore, che si è svol­ta a Mari­no saba­to 15 giug­no pres­so il Museo Civi­co Mas­troian­ni di Mari­no, ha con­siglia­to la let­tura, la rif­les­sione ed ha aus­pi­ca­to l’adozione di com­por­ta­men­ti coer­en­ti (da parte di ammin­is­tra­tori e dal­la classe diri­gente del­la soci­età mari­nese e castel­lana) con alcune indi­cazioni sul­la dife­sa ambi­en­tale che emer­gono dal libro stes­so.

E’ impor­tante ques­ta  indi­cazione di Carac­ci per­ché è uno degli inter­ven­ti non in scalet­ta, svolti a ruo­ta lib­era durante il pomerig­gio mari­nese che ha mes­so insieme decine di per­sone che han­no ascolta­to tesi pro­prie dell’autore; appro­fondi­men­ti lin­guis­ti­ci, filosofi­ci e sinot­ti­ci insi­ti nel libro stes­so svolti dal prof. Fran­co Campe­giani che ama dec­li­nar­si filoso­fo e vig­naio­lo; spie­gazioni e illus­trazioni del dott. Gae­tano Ciolfi, diret­tore dell’Istituto Sper­i­men­tale per l’Enolo­gia S.O.P. di Vel­letri. L’e­s­po­sizione che è sta­ta gui­da­ta, come un padrone di casa ospi­tante da Arman­do Lau­ri, sodale cul­tur­ale e politi­co, oltre che ami­co per­son­ale di Giulio Santarel­li, ha con­sen­ti­to a tut­ti di pre­sentare aspet­ti e appro­fondi­men­ti del testo in pre­sen­tazione. Noi abbi­amo parte­ci­pa­to con atten­zione e atti­va­mente, anche alla degus­tazione dell’ottimo “mosca­to rosato” servi­to fres­co del­la can­ti­na Cas­tel De Pao­lis, l’azienda di Giulio Santarel­li che dagli anni ottan­ta ha cura­to nel­la nasci­ta, nel­la cura, nel­la ricer­ca di inno­vazioni che ricon­ducono alle radi­ci.

Per­ché, come dice Campe­giani, “le radi­ci, sono quan­to di più mod­er­no e inno­v­a­ti­vo, in agri­coltura come nelle cose del­la vita”. Abbi­amo ascolta­to, dal­la voce dell’autore, rac­con­tare – col suo “modo fiume” di essere mari­nese appas­sion­a­to nelle cose che affronta – di una anal­isi, di un con­vinci­men­to, di una provo­cazione. Per con­to nos­tro, provi­amo a “leg­gere” quan­to da egli pro­pos­to in vario modo. L’analisi, ad esem­pio, soprat­tut­to nei richi­a­mi auto­bi­ografi­ci, non sem­pre ci sem­bra­no col­li­mare con la realtà effet­tuale. Che, invece, viene descrit­ta, a gran­di linee per quel­lo che è sta­ta. E’ un “gial­lo” questo vol­ume. Un gial­lo di pre­gio. Ad esem­pio ha il pre­gio e il mis­tero che accom­pa­gna ogni nar­ra­ti­va piena di sus­pence, di inserir­ci in un ambi­ente noto, ma pre­sen­ta­to come in penom­bra. Una quo­tid­i­an­ità tat­tile di cui si è smar­ri­ta l’avvertenza, la con­sapev­olez­za dell’esistenza stes­sa. Infat­ti, come è nei gial­li clas­si­ci, con­cen­tran­do l’attenzione sui “pro­tag­o­nisti” appar­en­ti, anche per­ché poi è lì che si cela l’assassino (o è un com­plot­to con più delit­tu­osi colpevoli?), non si tiene in gius­to con­to un sub­stra­to umano, una base di “humus” dove innestare col­ture e cul­ture, che poi daran­no cor­po al mon­do esistente. Infat­ti, assur­to a pro­tag­o­nista il pro­dut­tore, l’artigiano del­la vite (l’artista del­la vite, direbbe Campegiani),va  indi­vid­u­a­to il movente.

Niente di eccezionale: come in tut­ti i gial­li, o sono pas­sioni per­son­ali o sono sol­di. E qui il movente è pro­prio il denaro, come sot­to­lin­ea Santarel­li, citan­do Van­dana Shi­va, che viene osan­na­to a wall street per­ché “da denaro pro­duce denaro”; ma poi dimen­ti­ca –il mon­do occi­den­tale. L’occidente cap­i­tal­is­ti­co- che per apprez­zare la vita, le cose vive che si rin­no­vano nel­la pro­pria sta­gion­al­ità, occorre tornare alla ter­ra e ai suoi frut­ti. Alla tri­ade com­ple­ta, il pro­tag­o­nista-vit­ti­ma, il movente-denaro, non res­ta che la fol­la di assas­si­ni: la classe diri­gente che nei decen­ni ha sposato il liberis­mo, il cap­i­tal­is­mo preda­tore (e qui il libro, forse anche per comod­ità di relazione argo­men­tale spazia poco e si riv­olge solo alla spec­u­lazione edilizia, al con­sumo di suo­lo). Sarebbe un po’ com­pli­ca­to, e dovrebbe assol­vere un po’ trop­po sbriga­ti­va­mente anche se stes­so e i pro­pri ruoli (pub­bli­ci) pas­sati, Giulio Santarel­li, se dovesse appro­fondire l’analisi sul cap­i­tal­is­mo, sulle clas­si diri­gen­ti del Paese Italia, anche for­giate (com­p­rese le derivazioni attuali che gius­ta­mente ora denun­cia) dal­la parte polit­i­ca a cui egli stes­so ha con­tribuito a dare cor­so. Sarebbe com­pli­ca­to a tal pun­to che dovrebbe invo­care, in estremo ten­ta­ti­vo onni­com­pren­si­vo dell’analisi, del­la sogget­ti­vazione e delle con­clu­sioni a cui giunge oggi, un isti­tu­to com­por­ta­men­tale ad egli sconosci­u­to: dovrebbe invo­care e prati­care l’autocritica costrut­ti­va. Cosa che asso­lu­ta­mente non fa. Non è nelle sue corde. Non è nel “per­son­ag­gio” che inter­pre­ta ed è. Non vuole nep­pure pren­dere in cosider­azione. Tan­to è vero che sfugge. Anzi rifugge, in un arti­fi­cio, che qua­si potrebbe “offend­ere” l’ospite filoso­fo che lo sta accom­pa­g­nan­do nel­la bel­la descrizione ana­lit­i­ca del­la realtà muta­ta. Infat­ti, Santarel­li sen­ten­zia che “sono finite le ide­olo­gie”!

Aggiunge che la dimostrazione di ciò è che men­tre pri­ma – e qui c’è un riman­do alla crisi che dal 2008 dev­as­ta il cap­i­tal­is­mo – c’era la lot­ta di classe e gli operai ora l’unica par­ven­za di lot­ta di classe è il benessere ecososteni­bile che i cit­ta­di­ni (di cit­tà) recla­mano nel­la loro vita quo­tid­i­ana. E qui, addirit­tura, sposa ed indi­ca il moti­vo – questo del­la ecososteni­bil­ità sem­pli­fi­ca­ta – ha trova­to coeren­za del pro­prio agire politi­co nel sostenere le posizioni politiche dell’amministratore Ren­zi. Ecco, in tut­to ciò, fino ad ora sono resta­ti fuori – e lo sono anche nel libro – i lavo­ra­tori del­la ter­ra, i brac­cianti, i part time, i sen­za dirit­ti, gli sfrut­tati, che han­no reso pos­si­bile l’applicazione di quelle intu­izioni che il “pro­dut­tore Santarel­li” è sta­to capace di sco­vare. Gra­zie, come def­er­ente ricor­da egli stes­so, alla “super­vi­sione di idee e scelte” indi­cate dal prof. Attilio Scien­za, enol­o­go numero uno al mon­do. Ecco tut­to ciò, sen­za chi “scac­chia”, chi “innes­ta”, chi “rac­coglie”, chi “trasporta”, chi mette le pro­prie brac­cia al servizio quo­tid­i­ano del­la vigna, avrebbe come risul­ta­to, prob­a­bil­mente la stes­sa qual­ità che è sta­ta eccel­len­te­mente trova­ta dalle intu­izioni e capac­ità di Santarel­li e del­la sua azien­da, ma sarebbe – se cura­ta da egli sola­mente e dal­la famiglia – 100 volte, mille volte, minore nei numeri.

Per questo è “nor­male”, se non si coglie ques­ta “imme­di­a­ta sen­si­bil­ità di classe e di situ­azione di sfrut­ta­men­to ogget­ti­vo nel­la cate­na di pro­duzione anche nei beni del­la ter­ra”, che poi si giun­ga sbriga­ti­va­mente a sen­ten­ziare sul­la fine delle ide­olo­gie. Per­ché, chiederem­mo all’autore, l’insieme del sis­tema di idee che egli pro­pone cir­ca l’ecosostenibilità, cir­ca una visione di futuro (nel ridare pro­gram­mazione e potere ordi­na­tore) anche nell’economia locale e glob­ale, non è essa stes­sa una pro­pos­ta “ide­o­log­i­ca”? Per­ché, incalz­erem­mo, quan­do pre­oc­cu­pa­to e sper­an­zoso pro­pone di chiedere alle clas­si pro­dut­tive agri­cole (mag­nifi­co l’esempio di Ciolfi cir­ca il con­sumo di suo­lo e di acqua nel par­al­le­lo tra l’espianto di vite e l’innesto di colti­vazioni di kiwi) di rin­un­cia­re al “guadag­no facile” e di perseguire un gius­to guadag­no, ma che assi­curi il futuro di tut­ti, non pone un que­si­to ide­o­logi­co? Non pro­pone, in ulti­ma istan­za una crit­i­ca al cap­i­tal­is­mo preda­tore? Oppure vuole iscriver­si nel­la schiera, fat­ta di illu­sion­isti o illusi che pen­sano ad un “cap­i­tal­is­mo buono”? Che si, il sis­tema por­ta a sfruttare, ma solo a pic­cole dosi! Per questo, l’apprezzabile fat­i­ca intel­let­tuale va pre­mi­a­ta nel­la sua “novità”, che, essen­zial­mente, con­siste nell’aver prodot­to sis­temi­ca­mente una rac­col­ta (sec­on­do la ricer­ca dell’autore è dal 1939 che non veni­va svolto un libro sim­i­le) che par­tendo dalle carat­ter­is­tiche fisiche, geo­logiche, geo­cli­matiche, mor­fo­logiche del ter­ri­to­rio su cui insiste il nos­tro inter­esse (Mari­no e i Castel­li romani) lo mette sot­to gli occhi del let­tore e lo arric­chisce via, via.

Del­la sto­ria e del­la cul­tura che nei sec­oli, dal pun­to di vista del­la vite e “degli stili di vita” come sot­to­lin­ea Campe­giani, che sono la con­dizione e il risul­ta­to del prodot­to agri­co­lo finale, nel nos­tro caso la vite. Del­la stes­sa visione eco­nom­i­ca di scala per deter­minare come si sono com­piu­ti salti – pos­i­tivi e neg­a­tivi – nell’uso del suo­lo su cui pros­pera, o pros­per­a­va ques­ta attiv­ità vitivini­co­la. Così ven­gono ricor­dati l’inarrestabile espan­sione dell’urbanizzazione, sia da Roma ver­so i Castel­li, che degli stes­si cen­tri castel­lani che han­no amplia­to o repli­ca­to in for­ma “mod­er­na e dis­or­di­na­ta” se stes­si più  a valle. Ques­ta descrizione, fa indi­care all’autore, che ormai occorre pren­dere atto di dover ricor­rere ad uno spar­ti­acque. Per questo ha buon gio­co, con la coin­ci­den­za delle scelte dei cit­ta­di­ni degli ultimis­si­mi anni e mesi operati nelle urne, nel recla­mare, nell’indicare, che il con­sumo di suo­lo agri­co­lo ormai deve essere pari a zero.

Lo ha proclam­a­to Nico­la Zin­garet­ti, neo pres­i­dente del­la Regione Lazio; lo ha con­fer­ma­to – indi­can­do pro­prio l’Agro romano, come liv­el­lo di atten­zione e appli­cazione pri­or­i­taria – il neosin­da­co di Roma Ignazio Mari­no. Insieme a questo zero con­sumo di suo­lo, il pro­dut­tore Santarel­li, il “con­tadi­no” Santarel­li, tiene ad indi­care, e rac­con­ta episo­di di una battaglia in cor­so, che la ricer­ca e l’innovazione devono riportare (vale per i dis­ci­pli­nari Doc e Docg) ad abban­donare (grad­ual­mente) l’uso dei vit­ig­ni “quan­ti­ta­tivi” come la mal­va­sia e riportare in pri­mo piano vit­ig­ni come il can­nelli­no. La visione di un ruo­lo dei Castel­li romani che sul­la coltura e sul­la cul­tura del vino sia in gra­do di innestare politiche attive di tur­is­mo pro­gram­ma­to – mag­a­ri non solo quel­lo delle gite fuori­por­ta come ripro­pos­to dall’autore – deve pas­sare, e non potrebbe essere altri­men­ti, sot­to­lin­ea Santarel­li, dal­la sal­va­guardia e dal totale rispet­to ordi­na­tore che devono avere le norme, europee e ital­iana e region­ali, del­la pro­tezione pae­sag­gis­ti­ca, del­la pro­tezione pae­sis­ti­ca, del­la pre­cipuità dei Parchi dell’Appia Anti­ca e dei Castel­li romani.

Sarà pos­si­bile questo? E’ chiaro che occorre, nel­la con­comi­tan­za del­la crisi sis­tem­i­ca del cap­i­tal­is­mo in cor­so, e nel­la rispos­ta di gov­er­no locale che indi­ca cam­bi­a­men­to; pre­oc­cu­par­si che in tut­ta l’area castel­lana, siano questi temi e ques­ta visione a prevalere. But­tan­do fuori dal gov­er­no locale (ad esem­pio nelle con­sul­tazioni che sono pro­gram­mate per il prossi­mo anno) quelle com­pagi­ni ammin­is­tra­tive – per lo più di cen­trode­stra, ma non solo – che in questi anni invece di essere state all’avanguardia nel­la dife­sa dell’agricoltura e dell’ecosistema castel­lano, ne han­no uti­liz­za­to lo “charme da mar­ket­ing” per depredare, per arric­chire pochi e impov­erire molti, come è in uso all’edilizia spec­u­la­ti­va, come è in uso al cap­i­tal­is­mo imper­ante. Per fer­mar­si al solo esem­pio di Mari­no, come pure l’autore fa, queste giunte ultime che han­no scel­to di non tenere con­to delle leg­gi di sal­va­guardia e di tutela, che han­no scel­to di basare “fasul­la­mente e in modo miope” un richiam­a­to “svilup­po” edilizio per dis­tribuire red­di­to al Paese, in realtà han­no rov­ina­to una parte di pat­ri­mo­nio nat­u­rale. Aggred­i­to par­ti impor­tan­ti di arre agri­cole. Impov­er­i­to arti­giani e lavo­ra­tori che ora non vedono sboc­chi.

Al con­trario, come sot­to­lin­eano e riconoscono ormai oper­a­tori nazion­ali e inter­nazion­ali del set­tore, sin­da­cati di cat­e­go­ria impren­di­tori del­la fil­iera edilizia, un diver­so modo di creare svilup­po dall’edilizia c’è: è la rigen­er­azione e la grande ristrut­turazione da oper­are nell’immobiliare esistente, nei cen­tri stori­ci e urbani già real­iz­za­ti, sen­za man­gia­re altro suo­lo, altra sto­ria, altro ambi­ente, altra cul­tura. Quin­di, l’ultima paro­la spet­ta non alle ammin­is­trazioni e alla classe diri­gente che sta pas­san­do (o che appar­ente­mente è anco­ra in auge), ma ai cit­ta­di­ni che – anche uti­liz­zan­do questo utile stru­men­to quale è il libro La viti­coltura a Roma e nei Castel­li Romani — Orig­i­ni, Svilup­po, Decli­no e Idee per la Rinasci­ta” – potrà scegliere nelle prossime con­sul­tazioni elet­torali se accettare supina­mente uno scivo­lo ver­so il bara­tro, oppure tentare una vera e pro­pria riv­o­luzionar­ia riscos­sa di cam­bi­a­men­to.

 

  2° ROUND — SANTARELLI

di Giulio Santarel­li

“Già nel tito­lo ‑Santarel­li si con­fes­sa renziano‑, Mau­r­izio Aver­sa in qualche modo spos­ta il con­tenu­to del libro su ques­tioni di carat­tere politi­co che invece rap­p­re­sen­tano soltan­to il corol­lario del­la nar­razione agri­co­la del libro stes­so. Per­al­tro, l’esempio del Sin­da­co di Firen­ze è sta­to da me indi­ca­to (nell’esposizione a brac­cio) pro­prio per­ché il sin­da­co di Firen­ze ha real­iz­za­to, e non soltan­to declam­a­to, il “con­sumo zero” di suo­lo agri­co­lo. Ques­tione che per me assume val­ore di civiltà per­ché sot­trae la ter­ra alla spec­u­lazione fon­di­aria e garan­tisce un futuro alle gio­vani gen­er­azioni. La crit­i­ca di Aver­sa (per ques­ta parte delle sue con­sid­er­azioni) è nell’ottica mil­i­tante di una Sin­is­tra anco­ra­ta alla teo­ria e alla pras­si Marx­ista-Lenin­ista.

Un’ otti­ca che non è mai sta­ta la mia, se si eccettua il peri­o­do gio­vanile quan­do era anco­ra in vig­ore il “pat­to di unità d’azione” PCI-PSI. Per avere un’idea del cli­ma dell’epoca bas­ta ricor­dare le parole del­la can­zone del­la Fed­er­azione Mon­di­ale del­la Gioven­tù demo­c­ra­t­i­ca: “La Lib­ertà sull’oscuro mon­do brillerà”. L’oscuro mon­do ovvi­a­mente non era quel­lo in cui loro vive­vano ma quel­lo occi­den­tale. E noi ven­ten­ni schierati (e plaudenti)dalla parte del bloc­co sovi­eti­co. In Italia quel­la cul­tura venne dif­fusa da riv­iste di grande spes­sore intel­let­tuale come: Mon­do Operaio,Rinascita,Il Cal­en­dario del Popo­lo e venne veico­la­ta anche dal­la col­lana dei lib­ri tas­ca­bili del­la Uni­ver­sale Eco­nom­i­ca Lat­erza. Tra le aber­razioni procu­rate al popo­lo non è man­ca­to nep­pure il ten­ta­ti­vo di manipo­lare l’evoluzione bio­log­i­ca delle specie veg­e­tali con il prog­et­to di Stal­in di met­tere in cam­po una genet­i­ca di stam­po comu­nista affi­da­ta a Mici­urin e Lisenko da con­trap­porre alla genet­i­ca dell’Abate Mendel per­ché di stam­po cap­i­tal­is­ti­co, lad­dove nat­u­ral­mente la genet­i­ca è una dis­ci­plina sci­en­tifi­ca che non può essere in alcun modo agget­ti­va­ta. Una pub­blicis­ti­ca che entrò in crisi con il rap­por­to Kruscev al XX Con­gres­so del PCUS, che mise a nudo i cri­m­i­ni di Stal­in e del­lo stal­in­is­mo. Le riv­olte di Ungheria,Polonia e Cecoslo­vac­chia che seguirono, si incar­i­carono di mostrare il vero volto del­la “dit­tatu­ra del pro­le­tari­a­to”. Risultò così che in quei pae­si era­no sta­ti costru­iti regi­mi dove le parole uguaglianza,giustizia sociale,libertà,democrazia,pace tra i popoli era­no una trag­i­ca finzione pro­pa­gan­dis­ti­ca.

La realtà era fat­ta di priv­i­le­gi per la nomen­clatu­ra, e di mis­e­ria per il popo­lo, al quale non veni­va risparmi­a­to il carcere e sovente, per chi osa­va dis­sentire, c’era la con­dan­na a morte vera e pro­pria. Ma questi argo­men­ti con il mio libro non c’entrano. Le cose su cui si dif­fonde Aver­sa atten­gono all’eterno dibat­ti­to di cui è infarci­ta la sto­ria del­la sin­is­tra dal 1921. Per chi­ud­ere questo aspet­to dirò che la definizione del XX come “il sec­o­lo delle ide­olo­gie”, da me usa­ta nell’esposizione a brac­cio, non è una mia inven­zione ma appar­tiene alle rif­les­sioni e all’ampio dibat­ti­to che è segui­to alla fine del fordis­mo e alla trasfor­mazione dell’economia globale,verso il terziario e il qua­ter­nario: sce­nari e prospet­tive che con la lot­ta di classe c’entrano poco o nul­la. E’ per questo che con la trasfor­mazione ed evoluzione dell’economia sono andati in crisi anche i par­ti­ti che fon­da­vano la loro ragion d’essere su quel mod­el­lo di econo­mia e soci­età. Men­tre è ter­ri­bil­mente attuale la battaglia per con­no­tare diver­sa­mente la lot­ta dei più deboli e costru­ire nelle aree met­ro­pol­i­tane un quadro di dirit­ti che impedis­ca agli inter­es­si che ruotano intorno alla spec­u­lazione edilizia di rap­inare il ter­ri­to­rio, non con­sen­ten­do l’edificazione di quartieri che siano costru­iti a misura d’uomo e a tutela del­la qual­ità del­la vita.

Aver­sa dovrebbe ricor­dare che la ques­tione del­la “vita fuori dal­la fab­bri­ca” o dal pos­to di lavoro venne pos­ta già dal seg­re­tario del­la CGIL Luciano Lama negli anni ’70,quando il sin­da­ca­to di classe sco­prì che i lavo­ra­tori non pote­vano esaurire il loro impeg­no per migliori con­dizioni, mag­giori dirit­ti e più salario nel pos­to di lavoro se poi il dirit­to ai servizi del­la casa,della scuola,della san­ità e dei trasporti era inadegua­to o assente del tut­to. Idee che furono dura­mente con­tes­tate dai grup­pi che oper­a­vano a sin­is­tra del PCI. Da qui la battaglia per il con­sumo zero di suo­lo agri­co­lo e per impeg­nare risorse e imp­rese ad oper­are all’interno dei cen­tri stori­ci per ristrut­turar­li e dotar­li dei nec­es­sari servizi.

La copertina del libro di Giulio Santarelli, la viticoltura a Roma e nei Castelli romani

 Det­to per inciso, se a Mari­no fos­se sta­ta appli­ca­ta ques­ta polit­i­ca, sarebbe sta­to evi­ta­to al con­testo urbano e al pae­sag­gio un obbro­brio edilizio e urban­is­ti­co come quel­lo del­la 167 di Cos­ta Caselle. Da qualche parte si dirà che con la trasfor­mazione edilizia molti vitic­ul­tori han­no trova­to con­ve­niente vendere per las­cia­re il pos­to alla edi­fi­cazione. Altri dicono che le ragioni che indussero il cen­trosin­is­tra mari­nese nel 2003 a non revo­care il PRG adot­ta­to e non anco­ra approva­to (si sarebbe agevol­mente potu­to elab­o­rarne uno nuo­vo che sarebbe sta­to molto meno inva­si­vo e più atten­to alle esi­gen­ze di una rig­orosa pro­gram­mazione urban­is­ti­ca!) fu la ques­tione dei “dirit­ti acquisi­ti” invo­cati per non cor­reg­gere le des­ti­nazioni edi­fi­ca­to­rie tan­to gen­erosa­mente elar­gite.

Sul­la pri­ma ques­tione c’è da dire che, così come nel dopoguer­ra, chi ave­va un buon vigne­to pote­va usufruire di red­di­ti che gli con­sen­ti­vano una buona con­dizione sociale: non si capisce per­ché non si pos­sano ricostru­ire quelle con­dizioni sal­van­do l’agricoltura anziché puntare su facili guadag­ni imme­diati des­ti­nati ad esaurir­si nel giro di pochi anni e con la perdi­ta di un bene che avrebbe potu­to garan­tire un futuro ai figli e ai nipoti. Sul­la ques­tione dei pre­sun­ti “dirit­ti acquisiti”,sia la Diret­ti­va Euro­pea sul Pae­sag­gio che una fon­da­men­tale sen­ten­za del­la Corte Cos­ti­tuzionale ci dicono che è un evi­dente fal­so prob­le­ma. La Diret­ti­va Euro­pea del 2000, con­ver­ti­ta in legge in Italia nel 2006,afferma il prin­ci­pio per il quale i vin­coli pae­sag­gis­ti­ci con­tenu­ti nei piani pae­sis­ti­ci region­ali preval­go­no su qualunque altro tipo di des­ti­nazione urban­is­ti­ca e indi­ca­va in maniera per­en­to­ria che i Comu­ni avreb­bero dovu­to adeguar i loro PRG ai vin­coli region­ali entro il 2008. Cosa che i Comu­ni e la Regione Lazio ges­tione-Polveri­ni si sono ben guar­dati dal fare. Le osser­vazioni di Mau­r­izio, nel­la dialet­ti­ca pre­sente all’interno delle varie ani­me del­la sin­is­tra, mi han­no qui obbli­ga­to a dilun­gar­mi sul­la ques­tione urban­is­ti­ca, che nel libro è trat­ta­ta solo nell’ultimo capi­to­lo. Come dice il titolo,invece, il libro è una meti­colosa ricostruzione del­la sto­ria glo­riosa del­la viti­cul­tura e del vino dei Castel­li Romani (Plinio il Vec­chio rac­con­ta di navi cariche di vino in parten­za dal por­to di Ostia Anti­ca per rifornire le legioni romane alla con­quista dell’Impero).

E’ anche sto­ria del­la crisi indot­ta dalle mod­i­fi­cazioni inter­venu­ta negli anni ’20 del sec­o­lo scor­so sul­la ques­tione del­la vari­età delle uve. Queste, fino ad allo­ra ave­vano prodot­to vini tipi­ci e pres­ti­giosi, e invece con l’impiego del­la mal­va­sia di Can­dia si ottenne purtrop­po l’aumento del­la quan­tità di uva prodot­ta a scapi­to del­la qual­ità. La crisi inizia­ta negli anni ’60, gen­er­a­ta dai grup­pi che agis­cono in regime di monop­o­lio, è sta­ta via via scar­i­ca­ta sui pic­coli pro­dut­tori, i quali, non riceven­do più alcun red­di­to dal­la colti­vazione del­la vigna, la abban­do­nano. Tipi­co, e clam­oroso, è il caso dell’area del­la DOC Fras­cati, che in 3 anni ha vis­to diminuire i pro­dut­tori da 870 a 490. Un trend espo­nen­ziale che se non ver­rà fer­ma­to mette a ris­chio la soprav­viven­za di un’attività mil­lenar­ia. Deve essere chiaro che l’abbandono dei vigneti è l’anticamera del degra­do del ter­ri­to­rio che por­ta alla perdi­ta del pae­sag­gio che ha con­no­ta­to per mil­len­ni la sto­ria dei Castel­li Romani.

Tra l’altro in questi casi a farne le spese non è solo l’agricoltura ma anche il tur­is­mo, la gas­trono­mia, il com­mer­cio e tutte le attiv­ità indotte. In defin­i­ti­va, la ricostruzione stor­i­ca com­pi­u­ta nel libro vuole affer­mare con forza che è arriva­to il momen­to di dire “bas­ta, fer­mi­amo il decli­no!”. Smet­ti­amo di ammuc­chiare mat­toni e iniziamo a costru­ire cat­te­drali. Ripren­di­amo­ci la cul­tura vitivini­co­la dei nos­tri ante­nati, aggior­na­ta alle inno­vazioni prodotte dal­la ricer­ca sci­en­tifi­ca. Il Pro­fes­sore Attilio Scien­za dell’Università di Milano, che ha scrit­to la pre­fazione del libro, ha tito­la­to: “Niente cul­tura, niente svilup­po”. Infat­ti è il gap cul­tur­ale preva­lente che ha prodot­to la crisi. E’precisamente il prog­et­to cul­tur­ale, il filo con­dut­tore del libro: è dalle vari­età di uve pre­giate, i ses­ti di impianto a filare,le tec­niche e tec­nolo­gie di vinifi­cazione final­iz­za­ta a pro­durre vini di alta qual­ità che può e deve nascere il prodot­to che ricon­quista la com­pet­i­tiv­ità con la migliore pro­duzione Ital­iana ed Euro­pea, come è sta­to fino alla sec­on­da Guer­ra mon­di­ale. Con l’alta qual­ità e la com­pet­i­tiv­ità sarà sal­va­ta l’economia agri­co­la e con essa i vigneti,l’ambiente e il paesaggio,incrementando il tur­is­mo enogas­tro­nom­i­co e apren­do con esso gran­di spazi e prospet­tive per nuo­va occu­pazione gio­vanile e fem­minile.”

3° ROUND — AVERSA

di Mau­r­izio Aver­sa
Curioso dove ci ha con­dot­to il trascor­rere dei mil­len­ni (da Omero e Socrate fino ad oggi, pas­san­do per il rinasci­men­to, l’illuminismo, il social­is­mo sci­en­tifi­co, il marx­is­mo e le attuali scien­ze eco­logiche) nell’attivare logiche di pen­siero (preva­len­te­mente occi­den­tale) che, all’apparenza, con­ducono due anal­isi dis­tinte (se non con­trap­poste) per giun­gere alle medes­ime con­clu­sioni. Dico a Giulio Santarel­li, che ringrazio dell’attenzione fino ad imeg­nar­si a confutare un com­men­to, che con­di­vi­do total­mente l’indicazione finale, che è di pen­siero, ma che è anche prat­i­ca, “prag­mat­i­ca” di gov­er­no locale e non solo, per inve­stire sul futuro difend­en­do le cul­ture e le col­ture. E l’ambiente e la sal­va­guardia delle stesse in cui pos­sono ripro­durre la pro­pria vita e vital­ità. L’urlo arrab­bi­a­to con­tro gli spec­u­la­tori, dunque lo con­di­vidi­amo, al pari dell’auspicio che questo pos­sa far aprire alle gio­vani gen­er­azioni sce­nari e visioni che pun­tan­do su beni ambi­en­tali, su sed­i­men­tazione cul­tur­ale, su inno­vazione e ricer­ca ries­cano al meglio a val­oriz­zare, con­ser­van­do, rispet­tan­do e pro­teggen­do l’ecosistema nat­u­rale e l’impronta dell’uomo, affinchè persegui l’armonia uomo-ambi­ente.

Per l’oggi, poi, con­di­vidi­amo perfi­no lo stes­so obi­et­ti­vo dichiara­to di natu­ra polit­i­ca (locale): cac­cia­re gli art­efi­ci, Giunte Palozzi e suoi sodali e seguaci, dell’assalto al ter­ri­to­rio mari­nese, all’agro romano, ai Castel­li romani. A ben guardare, una battaglia sim­bol­i­ca d’avanguardia, ver­so cui pot­er far pro­ten­dere tutte le ammin­is­trazioni locali castel­lane. Infine, non apro da queste colonne un con­fron­to-dis­qui­sizione stori­co per ovvi motivi, ma con­fer­mo che la coeren­za ruo­lo del­la fab­bri­ca, che si è fat­ta quartiere, pro­prio sec­on­do un canone di let­tura marx­ista del­la soci­età; oggi, raf­forza l’analisi e la visione che il “pro­le­tari­a­to” comunque lo si voglia definire o iden­ti­fi­care (il perenne pre­cario che lavo­ra in un grup­po di quat­tro per­sone, il presta­tore d’opera con par­ti­ta iva che vive gra­zie al “capo­rale” tec­no­logi­co etc), è comunque il sogget­to sfrut­ta­to, da mec­ca­n­is­mi di pro­duzione che ten­dono a ripro­durre se stes­si sen­za mutare mai l’origine del­la pro­pri­età e dei mezzi; quin­di per esten­sione, la fruizione dei beni col­let­tivi (sem­pre meno tali, dopo la sta­gione del wel­fare) e sem­pre nel­la disponi­bil­ità di tut­ti. Per questo sono comu­nista. Per cam­biare tut­to questo.

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